giovedì 31 gennaio 2013

Nessun dubbio!

A volte circolano argomenti e discussioni intorno ai figli e alla loro educazione che mi paiono per lo meno impropri se non strani.
Essendo padre da otto anni qualcosa sto cominciando a imparare. Sto imparando che ogni cosa detta viene memorizzata, ogni cosa fatta viene ricordata e ogni posizione presa diventa legge assoluta.
Quindi, nei limiti delle mie infinite capacità intellettuali, cerco di fare tesoro di quanto mi capita, tutti i giorni, nel mio rapporto con i miei figli.
Una volta, in uno dei miei più irritati deliri politici, ho detto che il Tg2 è 'la fiera dell'inutilità', sottolineando uno dei peggiori esempi della gestione dell'informazione pubblica negli anni bui del governo precedente.
Bene, Andrea, appena può mi cita quella frase, facendomi ogni volta saltare sulla sedia a proposito della sua capacità mnemonica e di contestualizzazione.
Insomma, i bambini, come il nemico, ci ascoltano.
Ma non solo. Prendono esempio da quello che facciamo, e non lo scopro io.
Quindi io mi meraviglio tantissimo, oltre a spaventarmi un anche po', quando leggo questi articoli che sottopongono un problema, o meglio una scelta, che per me è acquisita e scontata.
Qui ci si interroga se sia giusto o sbagliato far assaggiare vino o liquori ai bambini. E aggiungo io se sia giusto far assaggiare il caffè, far provare a fumare, e non so che altro. In giro se ne vedono di ogni tipo, anche tra amici.
Io non sono d'accordo, assolutamente, e penso che - come comunque aggiunge l'articolo - questi azzardi mascherati da gradini da salire obbligatoriamente verso, inculchino cattive abitudini, pessimi messaggi e obblighino la crescita a passi azzardati e immotivati.
Senza trascurare gli effetti sulla salute.
Le abitudini della società contadina o arcaica, oppure di qualche zona del paese, sono appunto abitudini contadine e arcaiche, e quindi figlie dei loro tempi.
Non vanno bene e i nostri figli devono essere tutelati. Soprattutto contro le stronzate.


lunedì 28 gennaio 2013

Un delirio al giorno

Sono stanco morto e il mondo, distratto, sembra non volersene accorgersene.
Tutti a chiedere, esigere, avanzare pretese, chiedere soldi, sfinire per il gusto assoluto di sfinire il prossimo.
Ho accumulato forse troppe ore di sonno non consumate. Ho accumulato troppo stress, troppe tensioni negli ultimi anni da poter essere recuperati con qualche buon bicchiere di vino e qualche ora di riposo lontano da tutti.
Ormai la stanchezza si mette da parte, in un angolo recondito del corpo, si impila come casse di birra in attesa che qualcuno passi a ritirarle. Ma non passa nessuno, e le casse riempiono il magazzino e tra un po' non ci entrerà più neanche uno spillo.
Basta lamentarsi, mi ritrovo a sussurrarmi all'orecchio, ma ci sono giorni in cui la capacità di reazione è più bassa e quindi tutto diventa più difficile.
Ma bisogna andare avanti, almeno dicono.
E quindi sotto con la vita di tutti i giorni, con le proprie debolezze, con le proprie ambizioni, con le proprie voglie.
Spesso si ha la sensazione di essere 'perseguitati' - lo so, parola forte, ma lo dico in senso figurato - mentre, come legge del contrappasso, si è sempre più sicuri di volere la compagnia di altre persone che non ci sono.
A volte si vuole essere aquile per raggiungere mete lontane e meravigliose, ma invece siamo solo poveri passeri alla ricerca di un verme per placare i morsi della fame.
È meglio che riposi, ormai comincio a delirare...

domenica 27 gennaio 2013

Per non dimenticare...

...bisogna saper trasmettere, raccontare, far comprendere alla giovani generazioni quanto è successo.
Oggi è quel giorno che l'uomo ha assegnato al ricordo, alla commemorazione. E' una giornata che è stata decisa per continuare a tenere viva la fiamma del ricordo, per fare in modo che, anno dopo anno, il l'orrore e il dolore di quegli anni non cada nell'oblio dell'ignoranza e dell'indifferenza. O peggio ancora nella revisione storica.
Soprassiedo su quanto dichiarato oggi dall'uomo più impresentabile della storia di questo paese - non ne vale la pena - ma il pericolo vero è proprio quello di dimenticare, man mano che le generazioni scompaiono per fine naturale.
Quindi il tema è come tramandare e far comprendere soprattutto ai più giovani.
E nel mio piccolo come fare a raccontare quanto è successo ai miei figli, forse ancora troppo piccoli, ma sicuramente in grado di incominciare ad ascoltare un racconto di storia.
Oggi un po' ci ho provato.
Davanti al televisore nuovo di zecca dopo il suicidio del modello ante litteram precedente passa il servizio di prammatica al telegiornale.
Passa qualche rapida scena drammatica e Andrea chiede subito:
- Ma erano cadaveri quelli?
- Oggi è il Giorno della memoria, in ricordo di quell'orrore che si è scatenato prima e durante la guerra. Quando papà e mamma non erano ancora nati. Ma c'erano i miei genitori, i nonni che non ci sono più. Vi ricordate di quello che vi ho raccontato di quello che è successo molti anni fa?
E non so perché mi sento a disagio, immediatamente inadeguato, trascinato in un imbarazzo infinito.
Loro mi guardano.
- Vi ricordate 'Bella ciao', la canzone dei partigiani che hanno lottato contro i cattivi per liberarci?
Ecco i cattivi erano questi, che tra tutto il resto hanno ucciso milioni di persone.
- Ah sì, mi dice Andrea. - E perché l'hanno fatto?
Ecco, perché?
Perché l'olocausto ha sue motivazioni politiche, espansionistiche, economiche. Ok.
Ma non è tutto lì. Sarebbe 'semplice', se si fermasse a quegli aspetti.
Ma l'olocausto, l'eliminazione fisica di un popolo - oltre che di tutta una serie di avversari politici e 'diversi' di ogni tipo - l'annientamento di una cultura e di una religione grazie a un freddo e scientifico programma pianificato a tavolino è maledettamente complicato da spiegare a chi ancora è in giovanissima età.
Far comprendere che il male, la gioia diffusa nel procurare dolore e morte verso un proprio simile, far capire che si possa uccidere uomini, donne e bambini - non ci dormo la notte! -, che un popolo intero abbia partecipato, ignorato, denunciato, insultato, picchiato, sparato, emarginato milioni di propri simili solo perché 'era giusto così', beh tutto ciò è difficile da far comprendere.
Far capire che il male esiste di per sé, senza essere 'indotto' da ragioni politiche ed economiche e sociali, è difficilissimo.
Mi sento inadeguato. E non so come uscirne.

giovedì 24 gennaio 2013

Anche noi vogliamo ammazzare!!

Ma io non so proprio, non so bene cosa pensare...
Il tema della donna, della sua cosiddetta emancipazione (si può dire ancora?), il tema ben più scottante delle pari opportunità, dell'evoluzione della nostra società un po' bigotta e sicuramente maschilista e machista, ci impongono una riflessione perenne, un'attenzione costante a tutto quello che ruota intorno al pianeta femminile, alla sua evoluzione sociale.
Io credo senza ogni dubbio che il futuro di questo mondo sia delle donne, per forza, capacità, voglia e chiarezza di intenti.
Penso sempre di più che l'uomo sia destinato ad avere nel tempo un ruolo marginale, proprio perché la sua centralità, venendo meno, succhia con forza ogni tentativo di riscatto.
La sua crisi, causa e conseguenza della caduta del suo ruolo, è irreversibile, e deve arrivare fino in fondo.
Mi vengono i brividi ma ne sono convinto, sia intellettualmente sia con la pancia.
Ma siamo certi che il riscatto e la conquista di un nuovo futuro passi attraverso queste 'novità'?
Siamo certi che l'affermazione di un nuovo ruolo sia questa - o simili - 'conquiste'?
Io mi rispondo che non lo so, sono totalmente laico in questo senso.
Sarà il poco rispetto che ho nei confronti degli eserciti di oggi, del loro obbiettivo tutt'altro che di difesa e molto di pedina per manovre planetarie da parte di certe aree del globo.
Ma forse, questo, è il prezzo da pagare per raggiungere la reale parità, anche nei lavori di merda.

mercoledì 23 gennaio 2013

Un sogno strappato

Oggi è il 23 gennaio.
Un solo ricordo a Roberto, che trentanove anni fa veniva ucciso alle spalle dalla polizia davanti alla Bocconi.
Roberto era più grande di me. Ma lo ricordo molto bene al liceo, lui alle soglie del diploma e io minuscolo ragazzetto appena entrato al liceo.
Roberto è stato uno di quei 'maestri' che mi ha avviato alla politica.
Un punto di riferimento.
Ricordo solo la lapide affissa da noi nell'aula magna del liceo, in suo ricordo, poco dopo la sua morte.
Un giovane strappato alla vita.
Un giovane mai diventato adulto.
Un giovane giusto.
Ciao Roberto.

martedì 22 gennaio 2013

Carte e quarantotto

Andrea ha una passione per questo gioco di carte - Yu-Gi-Oh -, una follia incomprensibile che simula scontri tra esseri repellenti e mostri di diversa natura.
Sentirlo parlare di questo ameno passatempo sembra di assistere a una discussione filosofico-scientifica con inclinazioni di natura matematica con qualche spruzzata biologico-ingegneristica.
Non si capisce niente!!
Comunque si diverte come un pazzo, condivide la passione con molti suoi compagni di classe.
Le carte, che si acquistano in edicola e forse nei negozi di giocattoli, costano una fortuna, ma lui è veramente appassionato e quindi lo 'supporto' volentieri.
Ma c'è un ma.

Ieri, dopo settimane di influenza, fa finalmente ritorno a scuola.
La mattina, prima di uscire, davanti a una colazione come sempre parca e difficile da propinare - i miei figli non mangiano un tubo, maledizione... - la sua eccitazione era palpabile. Da prima delle vacanze natalizie ha fatto un solo giorno di scuola e aveva voglia di rivedere i suoi compagni, condividere le vacanze, lo sci, i giochi...
A un certo punto vedo che traffica con queste benedette carte, ancora prima di prepararsi la cartella.
- Scusa, gli chiedo, cosa stai facendo?
- Porto le carte a scuola, mi risponde con gli occhi che brillano fino ad accecare. - Ne ho un sacco nuove e quindi volevo farle vedere ai miei compagni.
- A scuola? Ma dai Andrea, non si fa. E mentre lo dico mi viene in mente che a scuola portavo di tutto e di più.
E continuo.
- Le maestre non credo siano molto d'accordo, e poi stai attento a non perderle o a fartele fregare da qualche compagno svelto di mano.
La discussione sale di tono, ognuno porta le proprie ragioni, e siccome non sono il padre autoritario (forse neanche autorevole) che i manuali suggeriscono di essere, raggiungiamo un compromesso.
- Ok papà, porto solo queste (una trentina di carte).
- Come vuoi, ma mi sembra una cretinata, ribadisco io incapace di impormi.

Va a scuola, io vado al mio lavoro.
La sera telefono a mia moglie, già a casa, che mi racconta una strana storia.
- Andrea sta piangendo come una fontana.
- Che è successo? chiedo.
- Qualche buontempone gli ha rubato tutte le carte. È disperato.
- Ma c...o, come se non l'avessi avvertito...

Arrivo a casa tardi, i miei figli già dormono e mia moglie mi racconta la serata.
- Andrea è disperato veramente, e lo sai perché? mi domanda.
- Per le carte, immagino. Certo mi avesse dato ascolto...
- È disperato perché gli hanno rubato le carte ('mamma, ci tenevo tantissimo...'), ma non solo. Mi ha detto: 'Mamma, sono ancora più triste perché questo significa che non posso fidarmi dei miei compagni'. E giù a piangere, come una fontana.
Dentro di me ho pensato, cinicamente e immediatamente, 'caro figlio mio, benvenuto nel mondo'.
Poi ho provato un dolore fisico per la sua sofferenza, fatta di pura e semplice delusione nei confronti di quello che ai miei tempi si chiamava, con una sorta di aria biblica, il 'prossimo'.
Una prova durissima, almeno la prima volta.

Stamattina, prima della scuola, ci siamo ritrovati a commentare l'episodio.
- Ho provato una delusione pazzesca, mi ha raccontato con gli occhi lucidi.
E io a raccontare, a fargli capire che bisogna avere fiducia di tutti ma sempre con la consapevolezza che non tutti sono persone oneste e pulite. E che è quindi necessario prendere qualche precauzione, essere attenti.
- E magari, caro figlio mio, anche ascoltare gli avvertimenti e i consigli che talvolta i tuoi genitori ti danno.

Un altro tassello verso la crescita, un altro passo verso il mondo.
Ma che tristezza, povero bambino mio...


domenica 20 gennaio 2013

Che donna!

Andrea sembra essere uscito da questa epidemia di peste che attanaglia casa mia da quasi un mese.
Domani torna a scuola finalmente, visto che da prima di Natale a oggi ha visto banchi e compagni di classe una sola volta!
Bianca rimane il problema. Ora alla febbre si è aggiunto un fastidioso dolore a un orecchio, almeno sembra, che va e torna a seconda dell'umore.
Lei si lamenta, diventa insopportabile, si agita, mugugna e cerca in tutti i modi di attirare l'attenzione di tutti noi, in particolare di sua madre.
E allora l'ambiente si riscalda, il nervosismo impera, i toni si alzano e forse - come recitava la famosa poesia - sul ponte sventola bandiera bianca.
E allora qualcuno, in genere io, alza la voce perché la pazienza è finita e bisogna interrompere la spirale di arrabbiatura.
Ma a volte è anche mia moglie a non poterne più e quindi anche con lei, lo scontro talvolta è inevitabile.
E allora la principessa ereditaria, non abituata, si adombra, si offende per la reazione del suo idolo e quindi...
Mette il muso, tira fuori il labbro inferiore, marchio di fabbrica registrato di tutti i bambini biblicamente arrabbiati.
Ci si aspetta una qualsiasi reazione - bombe in salotto, urla che rompono i migliori cristalli di Boemia o porte che sbattono, ma lei, fredda come un'abitante della provincia di Oslo, a un certo punto guarda sua madre e le dice gelidamente:
- Mamma, voglio stare da sola. E prende su tutto e si richiude delicatamente nella sua stanza.
Da cui riemerge dopo oltre mezz'ora, con aria ancora un po' risentita ma con grande consapevolezza di sé.
Te' capì?
Continuo a dirlo. Mia figlia ci annienterà tutti, gelidamente.
Ma sono felice nel sapere che non saremo i soli...

venerdì 18 gennaio 2013

Ma è il padre, non il nonno...non lo vedi?

A 'sto punto bisogna convincersi, eccheccavolo!
Lo dicono anche gli psicologi della rivista 'Psychological Science', a quanto pare pubblicazione molto ascoltata nel dibattito che ruota intorno alle menti, all'uomo nella società moderna e all'evoluzione antropologica. Almeno credo. Non sono un suo lettore e in genere prediligo argomenti diversi.
Ma questo articolo de La Stampa mi chiama in causa e reclama la mia attenzione. Anche perché figura uno scenario in cui io dovrei essere al massimo del nirvana e della soddisfazione, emotiva e intellettuale.
Allora il concetto è questo.
Chi è più felice?
E tra i più felici, chi è il più felice dei felici?
Io..., cioè la figura del padre.
E la figura del padre che ha qualche anno in più della media - qualche anno in più è un eufemismo, ma ci si deve pur difendere, no? - sono i felici tra i più felici.
Una rivelazione sulla via Damasco!
Un fulmine a ciel sereno!
Un vero e proprio sconquasso dell'anima!

Ora si può fare della facile ironia, si può guardare queste conclusioni dall'alto sapendo che in fondo è tutto un gioco, ci si può anche irritare per queste facilonerie mascherate da indagini socio-scientifiche, ma alla fine uno si ferma un attimo, pensa a se stesso, si guarda un po' dentro e non può che concordare con quanto la ricerca conclude.
Io non ho scelto di fare i figli in età 'avanzata' - Andrea a 47anni e Bianca a 50! - ma la mia vita, e alcune decisioni (forse sbagliate) mi hanno portato a questa situazione.
Ricordo con mia moglie le discussioni su fare o non fare i figli, soprattutto dopo la nascita di Andrea. Bianca è arrivata un po' 'meno pianificata', ma comunque a seguito di una scelta di averla.
Fatica immane?
Mah, i figli sono un impegno sociale, economico, organizzativo e finanziario enormi, soprattutto perché noi abbiamo poco aiuto dalla famiglia che è ormai decimata oppure decisamente lontana.
Tutti i giorni mi sveglio con il terrore vero e proprio che qualcuno stia male e che quindi quello che con grande acutezza mia moglie - l'unica che ha questa capacità, bisogna ammetterlo - ha organizzato vada a farsi fottere in un amen.
E poi i costi, le vacanze, la logistica, gli abiti, le scarpe, i giochi, le feste, la tv, il computer, la sveglia al mattino, le urla, i litigi, i giochi, le delusioni, gli amici...
Tutto normale, uno dice, è la vita.
Vero come l'oro colato, ma c'è un ma.
Il vero e unico problema, o comunque questione veramente rilevante e strategica, è la loro educazione, il loro futuro, il loro successo nella vita, trasmettendo loro i messaggi giusti.
Per questo una paternità 'avanzata' offre - forse - qualche garanzia in più.

E poi lasciate che mi sciolga un po'.
Gli anni passano, e da un po' di tempo a questa parte, a una velocità inquietante.
Ormai gli anni che ho vissuto sono matematicamente di più di quelli che vivrò in futuro.
E non so se augurarmi di arrivare ai 110 anni, l'esatto doppio di quelli che ho oggi, sia una bella cosa
Ma una certezza ce l'ho.
Visto che il tempo si assottiglia e la consapevolezza di non essere immortale è ormai una realtà acquisita, oggi riesco a godere anche degli attimi più difficili. Con fatica ma lo faccio.
Oggi, rispetto a qualche anno fa, sono sicuramente più sereno e più consapevole di star vivendo il momento più felice della mia vita, anche e soprattutto grazie ai miei figli.
Io sono un eterno irrequieto e insoddisfatto, ma so riconoscere le cose belle, la felicità e l'amore sconfinato che si prova verso i propri figli e che loro ricambiano in modo assoluto.

Oggi io sono preoccupato, terribilmente preoccupato per il futuro di questo mondo e quindi di quello dei miei figli.
Ma sono certo di una cosa: il mondo con loro protagonisti è già migliore e lo diventerà sempre di più. Lasceranno il segno.
Spero solo di avere il tempo, davanti a un caminetto e un bel libro in mano, di poter assistere allo spettacolo.


mercoledì 16 gennaio 2013

Alla faccia dell'Auditel

Ieri sera, con gli Squali al nono giorno di un'influenza continua, reiterata e sicuramente che vota a destra, mi ritrovo con loro seduti/sdraiati/accasciati sul divano della dimora famigliare.
Una scena idilliaca, vista dal di fuori, che evoca una felicità del focolare domestico al limite dell'accettabile. Una visione che trasuda melassa e buoni sentimenti da tutti i pori.
Allora Andrea, l'intellettuale del gruppo - mentre cerca invano di riempire i pantaloni della tuta che indossa che ormai arrivano a metà del polpaccio - ha un'idea rivoluzionaria, che sposta la storia del nostro povero mondo.
- Papà, perché non accendiamo la Tv?
Io, che fantasticavo sul mio ruolo di padre moderno e 'amico' dei suoi figli e che riesce a stare con loro solo per il godimento reciproco del confronto intellettuale, ripiombo subito sulla terra e concedo, magnanimamente, la possibilità di rimbambirsi il cervello, almeno per una mezz'oretta.
- Ok, cosa volete vedere?, cominciando a pregare dentro di me che non sia Cartoonito, per favore, no...
Bianca, che è sempre più veloce del fulmine urla:
- Cartoonito!!!, e zittisce suo fratello sul punto di avanzare qualche altra pretesa.
Comincia la manfrina quotidiana attorno alla tv.
Lui vuole K2 e vedere YuGO o come diavolo si chiama, al limite può cedere di fronte ai Pokemon.
Lei vuole Baby Lonely Tunes oppure qualcun altro che ora sfugge alla mia mente.
Uno urla, l'altra lo sovrasta, io mi innervosisco e minaccio tutti con una punizione che inizia con Rai Scuola per finire con un servizio sui canti popolari calabresi dei primi anni settanta su Rai Storia.
Terrorizzati si zittiscono entrambi. Ad Andrea, mi sembra, trema pure il labbro inferiore per la paura. Forse sta vivendo un trauma infantile da cui non si solleverà mai più.
Li fisso con aria cattivissima. E chioso:
- Ok, ora vediamo un po' di Cartoonito e poi un po' di K2, va bene? Neanche il capo della corrente dorotea di democristiana memoria avrebbe saputo fare di meglio.
Annuiscono rassegnati ma in fondo felici. Si fa quello che volevano loro e quindi il pirla sconfitto sono io.
Comincia la proiezione.
Situazioni assurde compaiono sul monitor. Poi arrivano situazioni assurde, per poi procedere con situazioni ancora più assurde.
Bianca si diverte come una matta.
Andrea fa lo spocchioso ma dopotutto se la gode pure lui.
Io mi sento lentamente scivolare verso uno stato di abbandono, simile a quello che i consumatori abituali di oppio perseguono e raggiungono scientemente.
Tutto procede, lentamente, con un suo rituale abituale. Le mie palpebre cercano un posto al sud del mondo.
Quando a un certo punto succede quello che non può succedere, quello che tutti i genitori sani di mente cercano di scongiurare con i figli da tempo influenzati, la cosa peggiore che può capitare.
Un sottile suono di dolore, uno svagato senso di abbandono, un lieve e leggero fumo, un odore acre di plastica bruciata misto a quello di pomodori fritti alla fermata del treno, et voilà, la tv si spegne per non riaccendersi mai più.
Mi è sembrato di sentire anche un triste gemito unito a un flebile ed esausto ultimo respiro.
La tv se ne è andata, la tv ha definitivamente cessato di funzionare.
Un urlo arriva dalla vasca degli Squali, un urlo unico, nonostante siano di due specie diverse.
Allora Andrea mi si avvicina e mi chiede:
- Papà, lo sai far funzionare? Lo sai riparare?
Come dire: tu sei il nostro eroe, tu puoi tutto, tu sai tutto, tu sei dio in terra...non ci vorrai deludere proprio ora, vero?
Schiaccio bottoni sul telecomando, stacco spine, tiro pugni...ma in fondo si vede benissimo che non so che pesci pigliare. Non ho neanche provato a fare i corsi serali della scuola RadioElettra di Torino, che volete da me?
E poi, si sa, gli uomini non sono più quelli di una volta...
Loro fermi, immobili e muti sul divano, cominciano a cambiare espressione. Dallo sguardo di terrore comparso appena la tv ha cessato di sputare assurdità, sono passati lentamente verso uno di incazzatura bella e buona per approdare a quello ormai rassegnato e di compatimento verso il sottoscritto.
Risultato? Li ho delusi. La tv è morta e io non riesco a combinare proprio nulla.
Una vecchia tv ancora con il tubo catodico che ha fatto il suo tempo e che non credo valga la pena di essere riparata (ammesso che si possa) ha cessato di fornire il suo onorato servizio.
Fine.
La stanza si riempie di un puzzo insopportabile. Io apro la finestra.
Loro mi guardano, per l'ultima volta, e a un segnale impercettibile, si alzano e se ne vanno, senza  proferire verbo.
Mi è sembrato di vedere Bianca alzare pure un sopracciglio in segno di disprezzo.
Io rimango lì come un cretino, con un senso di colpa infinito, per qualcosa di cui ho zero responsabilità.
Ma la cosa che più mi irrita è che devo, ora, comprare una nuova tv.




martedì 15 gennaio 2013

Quelli che...

Dio solo sa quanto 'amavo' Mariangela Melato.
Straordinaria attrice, meravigliosa donna (bellissima!), simpatia immediata, voce affascinante, cadenza milanese da proteggere dal Wwf.
Oltre ai film, l'ho vista a teatro un paio di volte ed entrambe le volte - lo ricordo come fosse adesso - sono uscito dal teatro a spettacolo concluso con un senso di abbandono quasi fisico.
Un personaggio che ha fatto la storia dello spettacolo. Una grande donna in questo piccolo paese.

Quando se ne va una persona che ha lasciato il segno, si sa, si scatenano i pareri, i ricordi, le giacchette tirate di qui e di là, si lascia lo spazio a commenti di qualsiasi natura.

E quando chi ha lasciato il segno è una donna, allora si apre la corsa a chi è più 'dalla parte delle donne' e di converso contro qualsiasi uomo sia comparso sulla terra.
E allora si scatenano gli articoli sulla pochezza dell'uomo, sui suoi limiti, sulle sue vere o presunte crisi. Si aprono dibattiti, si contrappongono le formidabili capacità femminili di ragionare e di prendere decisioni, a fronte di quell'innata (a questo punto è scienza dimostrata!) incapacità maschile di sostenere stress e fare le cose che servono.
E poi.
Le donne sanno pensare e gli uomini sanno solo cacciare. Le donne sono fedeli e gli uomini corrono appresso a tutte le gonnelle che incrociano. Le donne si assumono le responsabilità e gli uomini fuggono. Le donne fanne tante cose, tutte assieme e benissimo, e gli uomini ne fanno una sola alla volta (e non sempre) e soprattutto malissimo.
E poi ora piangiamo, ci depiliamo, ci profumiamo, e recentemente qualcuno ci ha anche messo una bella minigonna in una sfilata di modo tanto per gradire.
Insomma, dove è finito l'uomo di una volta?
Ma quale?
Quello che relegava la donna a casa e quando tornava, se tornava, menava e di brutto?
Quello debole che veniva schiacciato dalla moglie tiranno?
Quello amico dei figli che quindi perde di autorevolezza educativa?
Quello che invece dei figli non se ne occupa proprio?
Quello che sta sempre in giro e quindi non lo si vede mai e quindi stiamo tutti tranquilli?
Quello bello, ma troppo bello che sembra una femmina e quindi...?
Quello brutto e puzzolente che non si lava mai?
Quello buone e gentile che però poi non sembra neanche un uomo?
Quello che non deve chiedere mai?
Quello vecchio e repellente?
Quello giovane che scopa come un mandrillo a destra e manca?
Quello che invece non ne ha molto voglia?
Quello politicamente impegnato ma che poi diventa una pizza?
Quello qualunquista, tutto happy hour e donnette?
Quello femminista che fa incazzare le femministe perché è femminista?
Quello che legge e fa l'intellettuale o quello che va allo stadio tutte le domeniche e gioca a calcetto con gli amici il mercoledì sera?

Lo so, tutti noi vorremmo essere un mix di tutto questo, con gli ingredienti, anche quelli meno belli da mostrare, ben dosati.
E soprattutto lo vorrebbero le nostre compagne.
Un uomo che quando serve è rude, che quando serve è gentile, che quando serve è forte, che quando serve è ricco, che quando serve è padre, che quando serve è succube, che quando serve è muto...
L'uomo perfetto insomma.

Ma che volete tutti quanti dagli uomini?
Ma siamo così importanti?

domenica 13 gennaio 2013

Una poesia ci seppellirà

Ci sono emozioni che ti assaltano, improvvisamente.
Spesso legate a qualcosa, a uno sguardo, a un libro, a un odore, a un ricordo.
O un film.
"Il postino" è uno di quelli. Con Troisi ormai alla fine...

È un concentrato di sentimenti, di formidabili scosse emotive, di ricordi intrecciati, di suggestioni e di passioni sbattute in faccia.
Mancano solo gli odori e i profumi che il mare e l'isola (forse Procida, ma non ricordo...) comunque ti fanno intendere, tra le immagini.
È un film dolce, lento, straordinariamente delicato per gli occhi, per la mente ma soprattutto per il cuore.
È un film che trasmette passione, amore viscerale, voglia di dare, voglia di vivere.
E poi è un film legato a un mio passato ormai andato e dimenticato.
Quando finisce ti senti meglio.
E tu sei migliore.


sabato 12 gennaio 2013

Ci pensavo proprio oggi...

Come tutti i travet dalla vita media, il sabato ci tocca la spesa.
Mentre esco stamane dalla mia prediletta Coop di fronte al glorioso Vigorelli - dove per intenderci nel 1965 i Beatles fecero i loro due unici concerti nella capitale lombarda - incontro due giovani dalla belle speranze, con i loro motorini urlanti, in mezzo alla strada.
E dentro di me penso "due bravi ragazzi alle prese con le loro crisi adolescenziali, con un mondo tutto loro, che fa di tutto però per rendere loro la vita sempre più difficile".
E poi, con le mani solide intorno al volante, il pensiero profondo si fa largo tra sacchetti pieni di carne, verdura e frutta:
"Ma questi, che sogni anno? Hanno qualche speranza? Vedono un futuro diverso, un mondo diverso e una vita diversa"? Giro il volante dopo il semaforo, e mi sento dire ad alta voce come i disturbati 'che in fondo non sono affari miei, e che devo fronteggiare con grande fatica i miei di sogni, le mie di aspirazioni, i miei di progetti, e prima o poi quelli dei miei figli'.
Accendo la radio, mi concentro sulla guida e filo verso casa con la testa da un'altra parte.

Passa quasi tutto il giorno e mi ritrovo a sfogliare La Repubblica delle Donne, l'inserto del quotidiano romano di ogni sabato.
Pagina dopo pagina incontro la rubrica di Rampini.
Sto leggendo il suo libro 'Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo', libro che racconta lo 'scontro' generazionale tra cinquantenni e più e i giovani che ogni giorno di più reclamano spazio.
Non sto a raccontare il libro - forse troppo 'americano', anche se intessante e pungente - ma l'articolo di Rampini raccontava di una serata in cui presentando il suo libro, una giovane che partecipava al dibattito gli ha posto una chiara e terribile domanda alla quale il prode giornalista non è riuscito lì per lì a rispondere, ma che ha continuamente rimbalzato nella sua mente togliendogli il sonno.
Riassumo. La giovane ringraziava alla generazione di Rampini - che poi è la mia - tutto quello che ha dato ai giovani. Ma c'è un ma.
Abbiamo avuto tutto, tutto di tutto, ma ora ci manca la capacità di sognare. La crisi ci ha tolto tutto, anche questo, chiudeva la signora.
Non è chiaro se la responsabilità di questa carenza sia 'nostra', ma di fatto la trentenne indignata avanzava qualche rimostranza in questo senso.

Rampini risponde con tre consigli.
1- anche noi a vent'anni non avevamo certezze di alcunché. Ma un futuro c'è sempre.
2- guardatevi in giro, molti che stanno peggio di voi. Non è una consolazione, ma solo per rendervi conto che ci sono milioni di possibilità e grandi opportunità in questo mondo in crisi.
3- noi non possiamo togliere i vostri sogni perché abbiamo disatteso i nostri. Guardate i nostri errori per fare meglio, per imparare da tutto quello di sbagliato abbiamo fatto. Cominciate proprio da qui, per riproporre modelli migliori. Magari partendo dalla 'rivoluzione' delle piccole cose, da quelle più individuali, da quelle più semplici.

Rampini conclude: il nostro è un cantiere in disuso.
E io aggiungo: ma perché non lo prendete in mano voi questo benedetto cantiere in disuso, buttate via tutto quello che non ha funzionato, conservate qualche strumento non ancora arrugginito e costruite qualcosa come volete voi?

C'è molto da fare là fuori, giovani ragazzi, anche con la crisi, la disoccupazione, le scuole che non funzionano e con quei rompicoglioni dei vostri genitori e simili in mezzo ai piedi.
Fate girare le ruote, forza!, noi possiamo dare qualche consiglio, e fornire un po' d'olio.
Il mondo è vostro, perdio, prendetelo!

giovedì 10 gennaio 2013

Non so voi...

... ma a me il dibattito politico-elettorale di questo ennesimo giro di elezioni mi annoia in modo viscerale.
Saranno gli anni, saranno questi ultimi vent'anni, saranno gli attori, ma mai come questa volta tutta risulta chiaro e palesemente evidente. Si inviano all'elettorato (potenziale) una marea di segnali di marketing dai contorni imprecisati e con poca sostanza.
A destra è la fiera degli 'O bei 'O bei.
Da una parte, quella becera di sempre, che chiamare populista le si fa solo un piacere.
Tasse che saltano magicamente, allocazioni fiscali a livello locale che sono impensabili in uno stato con questa struttura, agevolazioni per chi sale, chi scende e chi muore.
Poi quella più presentabile, appena nata, che si definisce centro ma che ha come centralità solo sparigliare le carte, trovarsi un proprio posto al sole e continuare una politica sì rigorosa dal punto di vista ragionieristico ma soprattutto al servizio del grande potere finanziario, sempre più in cattedra in questo mondo occidentale senza più produzione.
Poi ci sono gli altri, la miriade di movimenti, liste, partitini, associazioni e chi ne ha più ne metta, che non si capisce bene cosa vogliano ma probabilmente sono solo portatori d'acqua al servizio del loro padrone.
Penso a personaggi imbarazzanti come quel giornalista dalla mise inqualificabile, a quelle cose che con il Sud in fondo che si muove in Sicilia, a singoli uomini sorti dal nulla che dovevano essere i volti nuovi della destra, a poi altri, altri ancora, sempre di più. Alla faccia del bipolarismo.
Sempre qui dentro, abbiamo il comico, il movimento che tutto distrugge, che tutto insulta, che tutto dileggia, senza proporre nulla in cambio, perché non ha strumenti, uomini e cultura per poterlo fare. Ha solo bava alla bocca, solo insulti. E recitazione.
Una tristezza.
Poi c'è la sinistra.
Se pensiamo a ex magistrati che improvvisamente si inventano un ruolo di raccordo politico io, come sempre, sono contrario. Contrario ai magistrati in politica, contrario a uomini-guida che dettano legge, contrario alla personalizzazione della politica e dei nomi sui simboli. Questo da sempre. E comunque che dicono, questi?
E poi c'è il grande raggruppamento che viene dato da tutti per vincitore (toccate tutto, ma proprio tutto...) che si è rifatto un volto, è l'unico schieramento politicamente rispettabile e con garanzie democratiche che nessun altro può vantare. Ma dove vuole andare, sinceramente, io non lo capisco.

Bene lo scontro ha questo scenario, ha questi pretendenti e sinceramente la voglia è di mandare tutto al diavolo.
A oggi, se non sbaglio, il 40% degli elettori è indeciso, forse anche di più, all'interno dei quali molti non andranno proprio alle urne.
Non votare non si fa. Sarà un diritto, sarà una posizione 'politicamente' definita, ma non si fa. Un po' perché è come regalare i propri diritti a qualcun altro, un po' perché la democrazia di rappresentanza è l'unica, per ora, forma di partecipazione democratica che il mondo ha conservato.
Quindi non votare, scusate, è proprio da stupidi.
Quindi votate, votate, votate e non lasciatevi trascinare dalle sirene dello sfascio.
Per chi votare?
Alla fine la grande coalizione di sinistra prendera la mia mano e mi imporrà di mettere una bella croce sul loro simbolo, ma dire che ne sono convinto sarebbe raccontare una frottola gigantesca.
Ormai la politica è la scelta del meno peggio, della scelta per esclusione.
Una vera sofferenza, della mente e del cuore.

Comunque vi do le mie previsioni, che significa il caos totale:
Sinistra 40%
Destra 30%
Centro 20%
Resto 10%

Ci scommetto...un caffè.

mercoledì 9 gennaio 2013

Un peso in delicato equilibrio

'Gobba la madre, gobbo il padre, gobba la figlia della sorella, era gobba pure quella...la famiglia dei Gobbon!"
Questa canzoncina girava spesso e volentieri tra noi bambini degli anni '60, non in contrapposizione ai Beatles o ai Rolling Stones, ma semplicemente come una di quei divertimenti canori tipici di quell'epoca.
Questa è più o meno, per tornare ai tempi nostri, la situazione che la premiata famiglia si trova oggi.
Dopo aver speso le vacanze natalizie a letto con l'influenza, ora è il resto della famiglia che è completamente distrutta da malattie, cagotti vari e vomitini di tutte le specie.
Un disastro. Un'emergenza sanitaria, sto quasi per chiamare l'Onu.
Il rientro a casa è quanto di più sofferente - da parte mia! - un umano possa sopportare.
Una tossisce, l'altra si lamenta per la febbre e il principe ereditario sdraiato in bagno abbracciato al water e alle prese con il proprio di scarico.
Un delirio.
Io cerco di strisciare lungo i muri, di respirare più lento di Maiorca quando si immergeva a Pantelleria, e soprattutto di avere il minimo contatto possibile con tutti.
Stasera la tattica sarà questa:
- entro in silenzio
- faccio la cena a tutti
- mangio velocemente
- rilascio qualche informazione di conforto al Lazzaretto tutto
- mi chiudo in bagno disinfettando tutto con alcool puro (forse gli dò pure fuoco)
- esco a caccia di aria pura - si fa per dire... - e libertà per la mente.

È inutile, sono come mia madre.
Quando qualcuno era malato in casa lei si innervosiva subito, cominciava a trattare tutti a pesci in faccia, aggirandosi per la casa chiedendo ripetutamente in modo antipatico:
- Allora, cos'hai? Perché stai male? Cosa vuoi? Vuoi mangiare? Vuoi dormire? Allora dormi!! E prendi 'sta medicina e falla finita.
Santa donna...
Io, dopo questo training siberiano ripetuto per tutto il periodo che ho vissuto con i miei, sono diventato come lei: non sopporto avere malattie intorno. Ma faccio di più. Ho elaborato una sorta di par condicio della salute.
Quando sto male, caccio tutti fuori dai piedi, non sopportando niente e nessuno.
Voglio solo morire in pace, da solo. Nel caso risorga - fino a ora la cosa ha funzionato - allora mi ripresento io, quando lo voglio io e dove dico io.
E non voglio sentire domande inutili...
Almeno non sono di peso.
Almeno durante la malattia.
Prima e dopo non so...


martedì 8 gennaio 2013

Maestri di perdono...

...o grandi professionisti del dimenticare?

Interessante questo articolo che il Corriere.it riporta in home page stamani.
Il punto di vista è quello scientifico/medico/salutistico.
In pratica la tesi espressa ci presenta il perdono come una panacea della pressione e quindi un vero e proprio toccasana per la salute del cuore.
Basta sostituire rabbia e risentimento con sentimenti di compassione e comprensione e gli effetti positivi sul sistema cardiovascolare saranno immediati.
In pratica quando ci viene il sangue al cervello, quando ci arrabbiamo e meditiamo vendetta-tremenda-vendetta, rischiamo l'infarto. Se ritorniamo buoni tutto si calma e quindi rientriamo nei valori d'equilibrio.

Ma aldilà della questione salutistica, è interessante il tema opposto, quello della vendetta.
È un terreno spinoso, terribilmente accidentato, riflesso oscuro delle menti libere.
'La vendetta è un piatto che si mangia freddo' recita uno dei più violenti proverbi che la nostra lingua abbia mai partorito.
Sì, perché presuppone di aver subito un torto, aver capito cosa sia successo e aver fatto macerare, crescere e maturare un risentimento tale da dover, alla fine, vendicarsi.
Nella nostra società cattolica, il perdono è parte integrante della nostra cultura di vita. È uno degli elementi su cui si basa la convivenza di un paese confessionale come il nostro. Almeno a parole.
Infatti come tutti i diktat ecclesiastici - nelle domenica e nelle feste comandate oggetti di culto e di osservanza - nella vita di tutti i giorni invece, in barba a catechismi e comandamenti, ognuno scatena i peggiori istinti e si disegna la propria via alla redenzione passando attraverso le peggiori nefandezze. Ma poi c'è il perdono, la confessione, che come il Dash lava via tutto...

Quindi la vendetta è un piatto che si mangia freddo, anche se a volte lo si consuma tiepido, a volte bollente e a volte prima ancora di essere servito, ancora in fase di cottura. Alla faccia della pressione.

Questo è un paese che perdona tutto.
O almeno sembra.
O forse dimentica tutto...


lunedì 7 gennaio 2013

Il mestiere più bello del mondo

La libreria - forse alcune più di altre - è un luogo magico, sensuale, avvolgente, rassicurante.
Io ho una memoria straordinariamente fallace, quindi ho ricordi nitidi di luoghi e situazioni ma non fermo un nome che sia uno.
Chissà, nella prossima vita, aprirò il mio cervello a qualche professionista delle menti per capire tutto ciò che significato ha. Per ora ho ben altro a cui pensare.

Comunque ho ricordi, in giro per il mondo, bellissimi di librerie, biblioteche o semplici piccoli negozi che vendono libri che si sono fermati nella mia mente a buchi.
Ci sono librerie che sono rassicuranti, calde, avvolgenti, protettive. Come quella di Londra, visitata anni e anni fa e che mi è sempre rimasta nel cuore. Tutta in legno, in una continua rincorsa di scalini e piani, con una staliniana suddivisione per casa editrice, all'interno di singoli comparti per argomento.
Bellissimi libri d'arte, di fotografia, di architettura, che fronteggiavano scaffalature infinite di legno scuro reparti narrativi, arricchiti anche di libri in italiano (una vera rarità). Il tutto completata da una sezione dedicata ai Beatles, che solo quella richiedeva ore di permanenza e di spasmodica attenzione. Un nirvana vero e proprio.
Chissà dov'era, anche perché Londra è grande...

E poi quella splendida a New York, dalle parti di Central Park - questo me lo ricordo - in cui, almeno al tempo, cascavano dal soffitto aerei, razzi interstellari, biciclette, auto...un rincorrersi continuo di colori, metalli, numeri, raggi.
E in quella liberia ho comprato la mia prima guida Lonely Planet, ancora aldilà da venire in Italia, in una delle più grandi e complete sezioni dedicate ai viaggi.

E poi ci sono le nostre.
Qui a Milano, come in tutto il paese, o fai parte di una catena o muori, indiscutibilmente. Tutte le librerie indipendenti, di zona, magari specializzate, stanno velocemente scomparendo, lasciando posto o a ristoranti che vendono sushi e/o pizze, oppure a banche sempre più affamate.
Ce n'era una bellissima, in centro, che aveva come prerogativa principale, oltre alla scaffalatura classica a muro, di presentare i libri su sorta di leggii giganteschi, inclinati come quelli originali, ma che potevano contenere decine di libri. Era una mostra vera e propria, dove i libri si valorizzavano in modo inconsueto e deciso. Ci andavo ogni volta che potevo, solo per il gusto, e il sapore, di vedere.
Un'altra bellissima, anche se il prototipo del 'casino' assoluto, era la Sei in piazza Duomo, infilata al piano terra del palazzo dell'arcivescovado. Ci passavo obbligatoriamente ogni volta che andavo in  Statale per riunione politiche. Si entrava da una porticina minuscola e si assaporava subito un'aria antica, medievale.
Ma soprattutto ci entravo perché era, al tempo, una delle librerie meglio fornite di libri di montagna, di arrampicata, e ci aggiornava sull'editoria più all'avanguardia della neonascente 'rivoluzione' alpinistica.

Oggi quasi non esiste più nulla di tutto ciò, almeno a Milano.
Le grandi case editrici, le multinazionali della cultura hanno obbligato a chiudere tutti i più piccoli. Con la conseguente morte della figura del libraio/consulente/narratore che poteva non solo consigliarti e vendere, ma soprattutto raccontare, spiegare, confrontandosi con il lettore/consumatore/pseudo-scrittore, lasciando il posto a cafoni commessi sempre furibondi con tutti e se stessi e che appena possono ti liquidano senza neanche un sorriso.

In giro per il mondo si trovano esempi di straordinarie esperienze architettoniche realizzate ad hoc, a seguito di recuperi di edifici per anni dedicati ad altre attività, oppure realizzazioni nuove pensate  proprio per ospitare librerie.
Guardate qui, questa carrellata di formidabili librerie in giro per il mondo.
Gioie per gli occhi e per le menti, in ogni angolo del pianeta.

domenica 6 gennaio 2013

Alla bisogna...

Bisogna sapere fare un passo indietro, quando è il momento.
Bisogna saper interpretare la situazione.
Bisogna capire che il tempo passa, che tutto diventa più difficile.
Bisogna sapere fare un passo indietro, quando è il momento.

Bisogna sapere fare un passo indietro, quando è il momento.
Bisogna annusare il vento quando spira.
Bisogna capire quando i colori ingrigiscono.
Bisogna sapere fare un passo indietro, quando è il momento.

Bisogna sapere fare un passo indietro, quando è il momento.
Bisogna sapere trovare dove stare, ora
Bisogna vedere il fiume che scorre.
Bisogna sapere fare un passo indietro, quando è il momento.

Bisogna sapere fare un passo indietro, quando è il momento.
Attento al gradino però...

venerdì 4 gennaio 2013

Conservatore rivoluzionario flessibile moderno

Siamo in campagna elettorale. E come in tutte le campagne elettorali che si rispettino è obbligatorio essere sgradevoli, maleducati, aggressivi, irrispettosi.
'Semo americani', direbbe Alberto Sordi, con tutto il disprezzo che il suo viso riusciva a interpretare. Perché tutte le peggiori nefandezze noi le importiamo convinti e granitici...
E aldilà degli 'amici' d'oltre oceano, questa cialtroneria diffusa ce la portiamo grazie a vent'anni di continue aggressioni verbali e di un stile che ci ha messo tutti nel sacco.
Ma questo ventennio sciagurato ha comportato anche un'altra tragedia, al primo impatto, di origine semantica, ma che di fatto è un furto ideologico e politico fatto e finito.

Di cosa parlo?
Da vent'anni, e oggi qualcuno sta raccogliendo dalle ceneri la sua eredità, le parole hanno subito una sorta di cambiamento sostanziale.
Per capirci. Se fino a ieri il nero era scuro e il bianco il suo opposto, oggi qualcuno è riuscito a ribaltare il loro significato, spiegandotelo anche.
Oggi la destra finanziaria, oltre a quella populista e più reazionaria, usa termini come 'rivoluzione', 'modernità', conservatorismo' affibbiando loro significati, politici e sociali, esattamente contrari alla loro effettiva origine.
Sembra quasi che non abbiano una 'loro' terminologia, consolidata nel tempo, una loro storia.
Hanno rubato a tutti noi il presente con azioni politiche che ci hanno portato allo sbando sociale e al dissesto dell'economia che loro hanno sempre voluto; stanno privando del futuro le giovani generazioni in nome della cosiddetta flessibilità; ora stanno anche rubando il passato, la storia e il linguaggio che è stato uno dei cavalli di battaglia delle più intense lotte che garantiscono diritti e tutele alla maggior parte della popolazione.
Quindi, oggi, si assiste a personaggi cosiddetti tecnici che dànno del conservatore a chi ritiene siano elementi sostanziali della convivenza civile le garanzie sociali e la presenza di uno stato forte che controlla. Con un unico obbiettivo: tutelare quel 10% (forse meno) che si spartisce oltre il 60% della ricchezza di questo paese. E che ha l'obbiettivo di puntare ancora più in alto.
Un curioso gioco lessicale che spiazza e fa arrabbiare, ma che come sempre, in questo paese lobotomizzato da reality e calcio, non indigna i più.
E i più giovani che fanno? Gli danno pure ragione, in un'ottica miope di lotta generazionale che non ha nulla di culturale ma è solo una recriminazione di spazi senza il minimo sforzo per conquistarli.
Visto che dovrò lavorare fino a circa 93 anni, non ho neanche il sogno della pensione dove rifugiarmi.

giovedì 3 gennaio 2013

Lo struzzo che c'è in noi

Mentre gli Squali sono oltre cortina a svernare gli ultimi giorni del ponte natalizio, siamo a Milano per lavorare.
Come sempre stare senza i figli da una parte offre quella sensazione di 'euforia' in cui si pensa di poter fare di tutto e di più, dall'altra ti crea una sensazione di vuoto e di spaesamento che talvolta toglie il fiato.
In questi giorni Milano è bellissima, vuota, calma, tranquilla, con un'aria inaspettata da paese del sud del mondo, dove nulla ti spinge a muoverti.
Le auto scorrono lente, quasi irritate dall'essere state svegliate la mattina, poche e discrete.
La città è letteralmente abbandonata. Non so se tutti sono partiti, vista la crisi, ma chi non l'ha fatto rimane tranquillo a casa, in silenzio.
Le vie sono affollate di anziani che si aggirano per le vie semideserte con quell'aria spaurita e incredula, alla ricerca di non so che cosa.
Anche in ufficio tutto scorre lento, telefoni silenti, nessuna pressione particolare, chiacchiere in libertà.
È proprio in questo contesto 'idilliaco' che è opportuno - lo dico anche dal punto di vista intellettuale - gettarsi in nuovi progetti, provare nuove sensazioni, affinare le proprie percezioni e aprirsi a nuove esperienze.
Proprio oggi che ho preso una decisione assoluta che credo cambierà la mia vita, personale e lavorativa, e di tutta la cerchia che ruota intorno a me.
Ho deciso di acquistare un nuovo innovativo prodotto, che farà fare un salto di qualità e di efficienza alla mia giornata professionale, ormai stanca e afflitta, e che permetterà di dare una spinta produttiva senza precedenti alla mia azienda.
È straordinario.
Hai un momento di palpebra che crolla?
Nella pausa pranzo vuoi recuperare la notte insonne travagliata da pensieri o vomitini dei tuoi figli?
Vuoi ricaricarti nel tardo pomeriggio prima della tua seduta in palestra?
Hai bisogno di una scusa per esserti dimenticato un appuntamento?
Vuoi finalmente essere riconosciuto come lo struzzo che effettivamente sei?
Ecco, questa è la soluzione. Da Madrid.
Forse la crisi ha dato alla testa a qualche iberico in libertà.
A volte penso che le pene corporali abbiano il loro senso...

Il vento, il cappello, l'uomo

Dove: una grande piazza centrale della città. Quando: una mattina invernale, all'alba, con sole appena nato, cielo terso e vento gelido,...