martedì 22 gennaio 2013

Carte e quarantotto

Andrea ha una passione per questo gioco di carte - Yu-Gi-Oh -, una follia incomprensibile che simula scontri tra esseri repellenti e mostri di diversa natura.
Sentirlo parlare di questo ameno passatempo sembra di assistere a una discussione filosofico-scientifica con inclinazioni di natura matematica con qualche spruzzata biologico-ingegneristica.
Non si capisce niente!!
Comunque si diverte come un pazzo, condivide la passione con molti suoi compagni di classe.
Le carte, che si acquistano in edicola e forse nei negozi di giocattoli, costano una fortuna, ma lui è veramente appassionato e quindi lo 'supporto' volentieri.
Ma c'è un ma.

Ieri, dopo settimane di influenza, fa finalmente ritorno a scuola.
La mattina, prima di uscire, davanti a una colazione come sempre parca e difficile da propinare - i miei figli non mangiano un tubo, maledizione... - la sua eccitazione era palpabile. Da prima delle vacanze natalizie ha fatto un solo giorno di scuola e aveva voglia di rivedere i suoi compagni, condividere le vacanze, lo sci, i giochi...
A un certo punto vedo che traffica con queste benedette carte, ancora prima di prepararsi la cartella.
- Scusa, gli chiedo, cosa stai facendo?
- Porto le carte a scuola, mi risponde con gli occhi che brillano fino ad accecare. - Ne ho un sacco nuove e quindi volevo farle vedere ai miei compagni.
- A scuola? Ma dai Andrea, non si fa. E mentre lo dico mi viene in mente che a scuola portavo di tutto e di più.
E continuo.
- Le maestre non credo siano molto d'accordo, e poi stai attento a non perderle o a fartele fregare da qualche compagno svelto di mano.
La discussione sale di tono, ognuno porta le proprie ragioni, e siccome non sono il padre autoritario (forse neanche autorevole) che i manuali suggeriscono di essere, raggiungiamo un compromesso.
- Ok papà, porto solo queste (una trentina di carte).
- Come vuoi, ma mi sembra una cretinata, ribadisco io incapace di impormi.

Va a scuola, io vado al mio lavoro.
La sera telefono a mia moglie, già a casa, che mi racconta una strana storia.
- Andrea sta piangendo come una fontana.
- Che è successo? chiedo.
- Qualche buontempone gli ha rubato tutte le carte. È disperato.
- Ma c...o, come se non l'avessi avvertito...

Arrivo a casa tardi, i miei figli già dormono e mia moglie mi racconta la serata.
- Andrea è disperato veramente, e lo sai perché? mi domanda.
- Per le carte, immagino. Certo mi avesse dato ascolto...
- È disperato perché gli hanno rubato le carte ('mamma, ci tenevo tantissimo...'), ma non solo. Mi ha detto: 'Mamma, sono ancora più triste perché questo significa che non posso fidarmi dei miei compagni'. E giù a piangere, come una fontana.
Dentro di me ho pensato, cinicamente e immediatamente, 'caro figlio mio, benvenuto nel mondo'.
Poi ho provato un dolore fisico per la sua sofferenza, fatta di pura e semplice delusione nei confronti di quello che ai miei tempi si chiamava, con una sorta di aria biblica, il 'prossimo'.
Una prova durissima, almeno la prima volta.

Stamattina, prima della scuola, ci siamo ritrovati a commentare l'episodio.
- Ho provato una delusione pazzesca, mi ha raccontato con gli occhi lucidi.
E io a raccontare, a fargli capire che bisogna avere fiducia di tutti ma sempre con la consapevolezza che non tutti sono persone oneste e pulite. E che è quindi necessario prendere qualche precauzione, essere attenti.
- E magari, caro figlio mio, anche ascoltare gli avvertimenti e i consigli che talvolta i tuoi genitori ti danno.

Un altro tassello verso la crescita, un altro passo verso il mondo.
Ma che tristezza, povero bambino mio...


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