Come tutti i travet dalla vita media, il sabato ci tocca la spesa.
Mentre esco stamane dalla mia prediletta Coop di fronte al glorioso Vigorelli - dove per intenderci nel 1965 i Beatles fecero i loro due unici concerti nella capitale lombarda - incontro due giovani dalla belle speranze, con i loro motorini urlanti, in mezzo alla strada.
E dentro di me penso "due bravi ragazzi alle prese con le loro crisi adolescenziali, con un mondo tutto loro, che fa di tutto però per rendere loro la vita sempre più difficile".
E poi, con le mani solide intorno al volante, il pensiero profondo si fa largo tra sacchetti pieni di carne, verdura e frutta:
"Ma questi, che sogni anno? Hanno qualche speranza? Vedono un futuro diverso, un mondo diverso e una vita diversa"? Giro il volante dopo il semaforo, e mi sento dire ad alta voce come i disturbati 'che in fondo non sono affari miei, e che devo fronteggiare con grande fatica i miei di sogni, le mie di aspirazioni, i miei di progetti, e prima o poi quelli dei miei figli'.
Accendo la radio, mi concentro sulla guida e filo verso casa con la testa da un'altra parte.
Passa quasi tutto il giorno e mi ritrovo a sfogliare La Repubblica delle Donne, l'inserto del quotidiano romano di ogni sabato.
Pagina dopo pagina incontro la rubrica di Rampini.
Sto leggendo il suo libro 'Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo', libro che racconta lo 'scontro' generazionale tra cinquantenni e più e i giovani che ogni giorno di più reclamano spazio.
Non sto a raccontare il libro - forse troppo 'americano', anche se intessante e pungente - ma l'articolo di Rampini raccontava di una serata in cui presentando il suo libro, una giovane che partecipava al dibattito gli ha posto una chiara e terribile domanda alla quale il prode giornalista non è riuscito lì per lì a rispondere, ma che ha continuamente rimbalzato nella sua mente togliendogli il sonno.
Riassumo. La giovane ringraziava alla generazione di Rampini - che poi è la mia - tutto quello che ha dato ai giovani. Ma c'è un ma.
Abbiamo avuto tutto, tutto di tutto, ma ora ci manca la capacità di sognare. La crisi ci ha tolto tutto, anche questo, chiudeva la signora.
Non è chiaro se la responsabilità di questa carenza sia 'nostra', ma di fatto la trentenne indignata avanzava qualche rimostranza in questo senso.
Rampini risponde con tre consigli.
1- anche noi a vent'anni non avevamo certezze di alcunché. Ma un futuro c'è sempre.
2- guardatevi in giro, molti che stanno peggio di voi. Non è una consolazione, ma solo per rendervi conto che ci sono milioni di possibilità e grandi opportunità in questo mondo in crisi.
3- noi non possiamo togliere i vostri sogni perché abbiamo disatteso i nostri. Guardate i nostri errori per fare meglio, per imparare da tutto quello di sbagliato abbiamo fatto. Cominciate proprio da qui, per riproporre modelli migliori. Magari partendo dalla 'rivoluzione' delle piccole cose, da quelle più individuali, da quelle più semplici.
Rampini conclude: il nostro è un cantiere in disuso.
E io aggiungo: ma perché non lo prendete in mano voi questo benedetto cantiere in disuso, buttate via tutto quello che non ha funzionato, conservate qualche strumento non ancora arrugginito e costruite qualcosa come volete voi?
C'è molto da fare là fuori, giovani ragazzi, anche con la crisi, la disoccupazione, le scuole che non funzionano e con quei rompicoglioni dei vostri genitori e simili in mezzo ai piedi.
Fate girare le ruote, forza!, noi possiamo dare qualche consiglio, e fornire un po' d'olio.
Il mondo è vostro, perdio, prendetelo!
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