giovedì 28 luglio 2016

Presunti libri per presunte pubblicazioni

Il libro avanza?
Boh, comunque un sacco di cose stanno succedendo.
La signora che ha letto per prima il libro ha dato un parere positivo, accentuando al telefono alcuni apprezzamenti che per iscritto non erano emersi.
Ma soprattutto - e su questo per tutta l'estate ci lavorerò - mi ha dato preziose indicazioni per migliorare la lettura, per focalizzare alcuni personaggi e per ottenere una struttura e un'articolazione della narrazione più efficace e fluida.
Magnifico. Non vedo l'ora di avere un po' di tempo per poterci lavorare su, in modo da presentare a settembre la versione riveduta e corretta e andare alla carica di qualche editore che spero possa prendere in considerazione la pubblicazione.
Poi il premio Nobel è un solo passo...

Ma aldilà delle chiacchiere ho ricevuto proprio ieri la segnalazione, sempre attraverso amicizie, di un'editor di una importante casa editrice milanese che vuole una scheda riassuntiva ma dettagliata (!) del libro in modo da poter valutare se la tipologia di storia rientra nella linea editoriale della casa editrice. Se sì, allora a quel punto potrà prendere in considerazione la lettura del vero e proprio testo al completo.

In più sono in attesa di un'altra segnalazione di un editor che possa leggere il libro. Questo attraverso un amico - lui scrittore vero, mica paglia - che mi farà conoscere presto il suo collaboratore più editor che a quanto sembra è molto disponibile e di grande trasparenza.

Insomma un po' di occasioni si stanno presentando. L'importante è sapersele giocare al meglio.
Primo passo - perché vedo che spesso lo chiedono - è la realizzazione di una sorta di sinossi della storia in modo da garantirsi velocemente un po' di attenzione da chi tempo non ne ha e soprattutto da chi è in costante apnea tra quintali di manoscritti offerti e presunti libri imposti.

Grande state questa, di grandi attese.
Piedi per terra e pedalare, senza illudersi, anzi.

lunedì 25 luglio 2016

Senza figli, per un po'...sempre troppo

Dopo quattro giorni di febbre altissima (a luglio, si può?), si portano in montagna i ragazzi dove rimarranno con la babysitter per una settimana.
Subito si scatenano i programmi in loro assenza.
- Andiamo alla mostra, alla presentazione di quel libro, andiamo fuori a cena, andiamo a passeggiare sui Navigli, sulla nuova Darsena, all'Isola, in centro, a zonzo..., andiamo ospiti di qualcuno, ospitiamo qualcun'altro, andiamo al cinema, in palestra, in piscina..., come se avessimo tre mesi davanti, di piena e totale libertà.

Il weekend finisce. I ragazzi rimangono in montagna anche con l'auto, in modo che si possano muovere senza problemi.
Noi torniamo con il treno.
Ma prima del treno serve l'autobus che porti giù a Sondrio.
Arriva l'autobus, saluti e abbracci alla fermata, io salgo per primo e all'autista che fa anche da bigliettaio gli dico:
- Quattro biglietti per favore.
Mia moglie dietro, senza ancora odore di alzheimer, mi corregge con un "i bambini no!".
- Ah giusto, replico io, e rivolgendomi al signore mi correggo:
- Due adulti, e i due bambini non so se pagano.
Lui guarda dietro di me e di bambini non ne vede, mentre nello stesso momento sento la moglie che sbuffando cerca di risvegliarmi annunciandomi, con determinazione, che i bambini rimangono qui in montagna, motivo per il quale non abbiamo l'auto ma scendiamo con i mezzi pubblici.
Il bigliettaio/autista mi guarda con una certa ironia tipica montana, io ricambio lo sguardo con meno spavalderia e al suo "Allora, quanti biglietti?", replico con un "parli con mia moglie" e sfilo via veloce e mi siedo, realizzando in quel momento che starò senza i miei figli per una settimana.
Sono talmente spaesato che dimentico di salutare i ragazzi dal finestrino, come si dovrebbe fare in questi casi.
Mia moglie si siede di fianco e appena il mostro guadagna i suoi primi metri scoppia a ridere in modo irriverente.
- Non voglio commentare, non ho nulla da dire, neanche di fronte al mio avvocato, affermo deciso con uno sguardo fisso all'orizzonte alla ricerca del sole del socialismo.
- Non riesci proprio a fartene una ragione di staccarti dai tuoi figli, vero? mi domanda.
Ecco, proprio così non me ne faccio proprio una ragione.
Arriverà venerdì...
 

giovedì 21 luglio 2016

Il libro avanza...

Posso dire poco, semplicemente perché c'è poco da dire.
Ma oggi ho sentito la signora - voce gentile e dolce - a cui ho affidato il destino del mio 'racconto lungo', così l'ha definito, che ho scritto in questi mesi.
Grandi apprezzamenti, personaggi ben definiti, dialoghi sobri e della lunghezza giusta, ambiente ben descritto, ottimo ritmo.
Insomma detta così il libro che forse non uscirà mai sembra essere un best seller internazionale da milioni di copie.
Poi mi ha puntualmente elencato alcune incoerenze, alcune mancanze di approfondimento e alcuni distonie narrative, che mi ha invitato a correggere. E che mi circostanzierà in un messaggio nei prossimi giorni.
Ci risentiamo a settembre, con la versione aggiornata e poi vediamo come muoverci alla ricerca di un'eventuale e possibile pubblicazione. Lei conosce qualcuno in qualche casa editrice e può provarci.
Straordinario, no?
Io che sono ipercritico verso me stesso sempre e comunque, sono allibito di un parere così positivo nel mio primo lavoro letterario articolato e strutturato e che per la prima volta è uscito da casa mia. Allibito e felicemente sorpreso.
Vediamo cosa succede.
Intanto mi godo l'attimo.

martedì 19 luglio 2016

Leggi un po', va...

Sono passati pochi giorni, pochissimi, ma si sa in casi di emergenza è necessario muoversi velocemente, senza perdere tempo. Il male va estirpato sul nascere, sennò addio core, come dicono nella capitale di non si sa che.
Quindi mi organizzo.
Attendo l'imbrunire, soprattutto per aspettare il fresco. Ma anche perché LORO, in quel momento della giornata, escono all'aperto, si mettono in cerca, sono liberi da impegni lavorativi o familiari.
Mi vesto in modo adeguato.
Bermuda comodi con tasche che servono alla bisogna. Maglietta polo fresca. Calze basse e scarpe da corsa perché a volte la velocità significa salvezza.
Esco da casa mia, mi dirigo verso il centro, sono ormai le 19,00 passate.
Cielo ancora azzurro, arietta ristoratrice che aiuta a detergere il sudore, luce da tramonto che si allunga tra le vie creando un'atmosfera che il Fernet Branca ai tempi di Carosello se la sogna.
Posteggio la moto dalle parti di Cairoli, così sono in posizione strategica: a sinistra il Castello con il Parco Sempione alle sue spalle - sicuro terreno di battaglia, a destra via Dante e quindi poco dopo il Duomo e tutto il corso, con relativa Galleria. Sicuramente altri luoghi dove posso trovarli.
Fa ancora caldo, decido di prendermela comoda.
Un gelato aiuta a ingannare questi ultimi minuti: cioccolato e nocciola, niente di più vintage, ma insomma a me piacciono le creme e non reggo i gusti alla frutta, tanto meno quelli inventati da qualche ufficio marketing spigliato e svogliatamente creativo.
Decido prima per la zona del Duomo. Piano piano escono dagli uffici - mica si esce alle sei qui a Milano, che credete? - e quelli che si fiondano a casa se ne vanno, ma molti si riversano per le strade, o per qualche shopping compulsivo oppure per aperitivi, apericena, cena con aperitivo e peggio di tutti, happy hour.
Ho tutto quello che occorre. Lo zaino è pieno. E ho riserve di munizioni infinite, almeno per il mio obiettivo di oggi. Occhialoni stile Sophia Loren in Ieri, oggi e domani, per non farmi riconoscere.
C'è molto caos quindi è difficile individuarli. Proprio come gli alieni che vivono tra di noi e che possiamo riconoscerli solo con qualche banale espediente.
Ecco, ne vedo uno. Lo distingui perché impugna lo smartphone in orizzontale e soprattutto non sembra digitare, scrivere e neanche navigare. Si vede che 'cerca' qualcosa.
Io non ne sono certo e quindi vado con circospezione verso di lui. Poi vedo che si guarda in giro, ricontrolla il display, sembra illuminarsi gli occhi come se avesse trovato qualcosa, fa qualche rapido gesto sul telefono e poi visibilmente esulta.
Allora sono certo, è uno di loro.
Mi avvicino, lo affianco. E' uno di quelli che un tempo avremmo definito yuppies. Vestito grigio, scarpe nere, camicia e cravatta allentata come da copione. Lavora in banca o in qualche Sim o in chissà quale studio di consulenza. Non arriva ai trenta. Ormai mi sembrano tutti miei figli.
Mentre lo affianco vedo che sorride tra sé, ed è visibilmente soddisfatto.
Allora sono certo, sta giocando a Pokemon Go.
Allora tutto diventa rapidissimo.
Giro lo zaino verso di me, lo apro, afferro la mia arma, mi avvicino impugnandola, lo guardo negli occhi, lui si gira, mi vede, non capisce cosa voglia da lui ma lo sguardo comincia a mostrare qualche preoccupazione, io lo fisso strizzando gli occhi con il chiaro intento di infondergli paura, anzi terrore.
Allora lui ha una reazione che non mi aspettavo. Cerca di scappare, il pavido, senza neanche prima capire cosa gli sta succedendo. Tutti firmati da capo a piedi ma senza palle.
Ma siamo sotto i portici di corso Vittorio Emanuele, pieno di colonne e io, svelto come un gatto, lo inchiodo con una mano al primo pilone di marmo, afferrandogli il braccio e impedendogli di fatto qualsiasi movimento.
Mi guarda ormai impaurito. Io lo guardo come faceva Lee Van Cliff negli spaghetti western di Sergio Leone.
E a quel punto scatta l'operazione.
- Complimenti, caro giocatore di Pokemon Go. Oggi hai vinto!
Alzo la mia mano e gli metto tra le braccia il libro pensato per lui. 'Allegro ma non troppo, le leggi fondamentali della stupidità umana, di Carlo M. Cipolla.
- Leggi un po' va, pirla!!!, aggiungo e mi giro e scappo dal luogo del delitto.

Ripeto l'operazione al Parco vicino ai laghetti dove ci sono le paperette e i cigni, questa volta con una giovane ragazza che tra una consulenza di comunicazione e una riunione internazionale si agita, con il suo tailleur firmato, tra gli alberi secolari del parco alla ricerca di qualche inconsistente e surreale essere da cacciare.
Lei mi vede a un certo punto e comincia a scappare (chissà cosa pensa) ma io la raggiungo facilmente e le metto in mano con viva soddisfazione 'Il Postino' di Skarmeta e le urlo in faccia con tutta la veemenza che ho in copro:
- Complimenti, cara giocatrice di Pokemon Go. Oggi hai vinto!
- Leggi un po' va, demente!!!.
Poi scappo, lei fa altrettanto, e voltandomi la vedo correre con il suoi tacco 12 attraverso un prato, sperando che qualche cane dell'alta borghesia meneghina abbia risolto proprio lì i suoi periodici convulsi dolori intestinali.

Basta. Due al giorno levano il medico di torno.
Io di questo mondo non ne posso veramente più.


venerdì 15 luglio 2016

Il mondo, oggi

Giornate terribili.
Dopo Dacca, dopo i poliziotti in Usa, dopo la Puglia, ora Nizza, domani chissà cosa, difficile oggi mantenere una tranquillità d'animo, una fiducia per il futuro, fermezza ai polsi.
Lo dico sempre 'non avessi i figli...'.
No, non partirei per qualche fronte anti-terrorismo, non ho più l'età ormai, e sicuramente non sono neanche più in grado di occuparmi di 'politica' e di lanciarmi in qualche forma di militanza sociale.
Non più, non ne ho voglia, non ne ho più le forze. Posso solo usare la mia mente per indignarmi, per fare analisi sui perché e buttare sul tavolo - a cui nessuno è seduto intorno - delle idee.
No, dico solo che 'se non avessi ' figli...' questo mondo ormai diretto velocemente verso il baratro, lo guarderei con più ironia e con più distacco.
Ma invece, pensando a loro, tutto diventa assolutamente impossibile da metabolizzare. Loro non solo sono il nostro e il mio futuro, ma sono totalmente indifesi, alla mercé di un mondo che non hanno contribuito a creare.
Ieri Farinetti, quello di Eatily, almeno così ho letto, ha consigliato ai giovani di non ascoltare i presunti consigli di vita da parte delle vecchie generazioni che, di fatto, hanno la responsabilità di avere fatto solo errori e aver trascinato il mondo in questo stato.
Bene, aldilà dell'affermazione, fatta non si sa a che titolo e perché - le aziende se parlano non lo fanno mai gratis ma hanno sempre un obbiettivo di business - io penso che il futuro per le nuove generazioni sia appeso a un filo a patto che si ritorni a dichiarare valori forti, passioni altrettanto fondanti e unione negli intenti.
Oggi non ci sono più idee - aldilà di quelle del pareggio di bilancio e della crescita del Pil, non ci sono più passioni - aldilà di quelle per il pareggio di bilancio e della crescita del Pil e soprattutto non c'è più alcuno capacità di stare insieme - aldilà del godere insieme appassionatamente per un esaltante pareggio di bilancio e per una rutilante crescita del Pil.
Questo è il mondo oggi e i miei figli ci devono vivere dentro.
Ora devo solo imparare io a guidarli, finché sono ancora piccoli e soprattutto minori, nel modo migliore, nella consapevolezza dei cambiamenti e nella loro sicurezza.
Non è facile.

mercoledì 13 luglio 2016

Pillole yankees

Alcuni ricordi americani degni di nota, così, sparsi, con protagonisti i due eredi.

1. Entriamo al Met, poco prima dell'ora di pranzo e poco prima di incontrare il nostro vecchio amico Art. Mia moglie si assenta per una necessità, io e i ragazzi rimaniamo nella prima sala, dedicata all'antico Egitto.
Casino assoluto intorno, con milioni di persone che si agitano e si muovono, io tesissimo di non perdermi qualche figlio in mezzo a quella calca.
La mamma dei miei figli tarda ad arrivare e Andrea quindi chiosa:
- La mamma non torna.
- Avrà trovato la fila, dalle tempo.
- Ma Papi, ma se la mamma ti tradisce, tu ti risposi? mi domanda a bruciapelo, solo come i bambini quasi-ragazzi sanno fare.
Io lo guardo, spiazzato.
- Se capitasse bisognerebbe solo vedere e capire. E comunque se io e tua madre ci lasciassimo col cavolo che mi risposo per la terza volta. Questo è certo!
Lui mi guarda, inclinando la testa, si gira di colpo e dice:
- Concordo!, e se ne va.
Ho la sua benedizione, nel caso.

2. Bianca al Lincoln Center, l'ultimo giorno, poco prima di correre in albergo, poco distante, per l'acquazzone imminente. La moglie se ne è già volata via per la sua settimana di lavoro in California.
- Qui  a New York è tutto gigantesco. Macchine enormi, ciccioni a non finire, grattacieli altissimi, strade larghe, piatti al ristorante con cui si potrebbe mangiare in due. Sono un po' pazzi, non è vero Papi?
- Vero, amore mio. Un tempo poi le auto erano più grandi, ma il resto è più o meno rimasto uguale: gigantesco! Le rispondo, facendo un po' anche il figo e dimostrando di esserci stato più volte negli Usa, anche in epoche veramente molto lontane.
Lei mi guarda, si gira verso il fratello e tace, visibilmente corrucciata.
Io mi lascio distrarre dalle grandi vetrate dell'Opera, viste decine di volte in altrettanti film e che finalmente sono riuscito ad ammirare dal vivo.
E allora Bianca si gira verso di me e mi butta lì:
- Ma anche l'intelligenza è più grande? mi butta lì, seria, senza alcuna punta di ironia.
Allora io le rispondo secco, anch'io serissimo.
- No Bianca, tutt'altro.
- Ah ecco..., mi pareva!, conclude.
L'imperialismo americano azzerato in pochi secondi.

3. Durante la visita al Moma, Andrea è esasperato.
- Ma cosa c'è che non va? gli domando.
- Papi, non ne posso più. Va bene Van Gogh e i ritratti, anche i più strani di Picasso. Ma tutte quelle righe senza senso (Mondrian...) e quei quadri pieni di schizzi e pasticci mi hanno veramente stufato. Torniamo in albergo?
Ascesa e caduta in pochi secondi dell'arte contemporanea.
Non gli si può dare sempre torto...

4. Bianca, al tavolo di fianco ad Art Garfunkel.
- Ma sei sicuro che sia lui? mi domanda.
- Sì, perché? le rispondo abbassando la voce per non farmi sentire - anche se sono certo che Garfunkel non conosca l'italiano, ma è una sorta di riflesso condizionato.
- Mah, quando me lo hai fatto vedere in tv e sulle fotografie aveva un sacco di capelli ricci biondi, mi dice. - Ora è quasi totalmente pelato.
- Quando li aveva così ricci e biondi io li avevo neri. Il tempo passa e si invecchia.
Si gira a guardarlo di nuovo, sembra non convinta.
Poi si volta verso di me e mi scruta.
- Beh lui è quasi pelato, tu sei un pochino grigio. Lui è un vecchio, tu no. E mi ha fatto patpat sulla mano.
Mi ha allungato la vita di dieci anni.

5. Bianca entusiasta di New York mentre percorre la High Line, Andrea con il muso. Primo giorno nella Grande Mela.
- Cosa c'è che non va, eh? gli domando sbuffando. - Non ti piace New York?
- Sì, bella, cioè...mmm boh, mi risponde mugugnando.
- Madonna santa, siamo nella capitale del mondo, il centro del mondo, cosa vuoi di più?
- Mmhmmhm, quand'è che torniamo?
L'avrei ammazzato, sul posto. Manco fossimo a Cinisello Balsamo...
Poi ha cambiato idea, ma mica del tutto eh?

martedì 12 luglio 2016

Un provinciale a New York

Ho passato cinque giorni a New York. Con tutta la famiglia.
Approfittando di un viaggio di lavoro della moglie negli Usa, abbiamo organizzato la settimana prima, una visita alla Grande Mela.
Era un po' che mancavo - credo dal 2004, poco prima che nascesse Andrea - e quindi ero curioso di vedere quali cambiamenti erano subentrati in questi oltre dieci anni.
Ma soprattutto ero curioso di vedere come i due figli si sarebbero comportati, come avrebbero reagito, cosa sarebbe piaciuto loro e cosa non.
Come sempre, le reazioni, generalizzando un po', sono state opposte.
Andrea ha apprezzato ma sempre con un animo critico, un po' pantofolaio e un po' chiuso. Sempre a paragonare con l'Italia, con Milano, 'da noi è più bello, da noi è più buono...', credo più che altro con un senso di nostalgia.
Ma bisogna capirlo, a sua difesa. Sta entrando in quel periodo pre-adolescenziale, in cui tutto fa schifo, in cui nessuno lo capisce e in cui tutti sono dei benemeriti dementi. Comunque ha apprezzato e credo che sia divertito.
Poi c'è Bianca, fenomenale donna del suo tempo, sempre entusiasta, sempre positiva, sempre arrembante, sempre nervosa come una belva ma sempre con la voglia di fare.

Andare a New York è molto faticoso. Si macinano chilometri, fa caldo a luglio, milioni di persone da scansare, file da fare, casino indescrivibile, rumori devastanti, puzza a gogò.
Ma è sempre estremamente affascinante toccare con mano la città che non si ferma mai, dove avvengono molte delle decisioni che muovono le leve del mondo.
I ragazzi sono stati bravissimi, hanno tenuto duro, sono stati collaborativi e hanno retto il colpo fino alla fine.

Abbiamo visto:
- Central Park in lungo e in largo con ossequio obbligatorio al luogo 'di culto' Imagine in onore di Lennon (perché New York è così, prima ti ammazza poi però coltiva il tuo ricordo)
- Rockefeller Center con visita sul tetto del grattacielo, esperienza bellissima soprattutto perché non la solita salita nei grattacieli più recenti ma un vero salto nell'immaginario dei film degli anni '50 e '60
- Moma e Met, straordinari luoghi di cultura con quadri straordinari che siamo abituati a vedere solo sui libri (uno fra tutti Van Gogh)
- Ground Zero, Memorial dell'11/9 e Freedom Tower, luoghi obbligatori per un ricordo, per raccontare ai due eredi quanto è successo e per vedere questo nuovo grattacielo straordinario dalle linee sfuggenti
- Lincoln Center, di sera, bellissimo luogo con le grandi vetrate dell'Opera, uno dei luoghi preferiti dai film di Woody Allen
- New York Times per vedere il palazzo di Renzo Piano
- Wall Street più che altro perché si era già in zona, sempre poco attraente
- Public Library, con visita interna, bellissima, non era mai stato, grande fascino. E tutta la zona intorno
- High Line, la vecchia linea ferroviaria chiusa e ristrutturata come percorso sopraelevato, parco e luogo di venti. Una straordinaria sorpresa, bellissima, quasi percorsa per intero
- Viaggio 'obbligatorio' con il battello nella baia, costeggiando la Statua della Libertà, Manhattan dal fiume, ponte di Brooklyn e nausea di prammatica
- ...e poi negozi vari, strade, palazzi, persone, cibi fetenti, acque minerali dal costo esorbitante, informazioni inutili e ridondanti, persone che ti continuano a tampinare per venderti di tutto, cantieri in tutta Manhattan con rumori e polvere insostenibili, donne bellissime, uomini idem, obesità diffusa e obbligatoria e, come tutto in Usa, tutto eccessivo, grande e debordante.

La ciliegina, impensabile anche al più formidabile regista di vita, è stato l'incontro fatto al Met.
Facciamo la fila al ristorante del museo prima della visita. È passata l'una da un pezzo, i ragazzi hanno fame dopo una lunga camminata che ha preso tutta la mattina.
Simona vede un tavolo e ci si butta. Io arrivo con i ragazzi poco dopo, con vassoi e hamburger di prammatica (l'unico che abbiamo mangiato).
Ci sediamo, ci si prepara al pranzo, salse sulle patatine, coca cola dal costo ridicolo e dalle dimensioni industriali. Insomma ci si rilassa finalmente e si comincia a pranzare. Alzo lo sguardo, giro gli occhi dopo il primo boccone.
Una rapida occhiata al tavolo. Questo viso...
Poi lo sento parlare, questa voce...melodiosa e bellissima.
Guardo meglio, aguzzo la vista e poi mi si rivela, a un metro da noi, Art Garfunkel.
Un'emozione grandissima, uno dei miei punti di riferimento musicali che ancora oggi spesso e volentieri riempie i miei momenti di relax. Lo riconosco dopo un po', vista ormai quasi la pelata totale e gli anni che si vedono tutti, abituato come sono a vederlo ancora come quarant'anni fa, con la i riccioli d'oro a forma di cespuglio.
Rubo qualche foto, sicuramente si accorge che gliele faccio, è al tavolo con - credo - suo figlio.
A un certo punto si alza e se ne va, e andandosene si gira verso di me e mi dice:
- Great kids!!, indicando i due ragazzi. Mi strizza l'occhio e fa ciaociao con la manina.
Io lo ringrazio e mi ributto sul mio hamburger di legno, che a quel punto, mi sembra un nettare degli dei.



sabato 2 luglio 2016

Italexit dal calcio, no?

Il calcio in casa non ci è mai entrato, un po' per spocchia, un po' perché appassiona più di un telecamera fissa su acquario, un po' perché io non l'ho mai sopportato.
E quindi il classico traino, un po' per imitazione un po' per tragica forzatura paterna, nella mia famiglia non è mai avvenuto.
Ma si sa, i bambini ormai ragazzi vivono in una comunità e soprattutto gran parte della giornata fuori di casa, a contatto con il popolo bue che di calcio mangia e parla tutti i giorni come se fosse in eterna astinenza da consumo di droga pesante.
Ieri quindi al ritorno a casa vengo accolto con un drammatico appello.
- Papi, stasera vediamo la partita?
Io li guardo questi due cuccioli di uomo per cui sacrificherei la mia felicità e anche la vita e velocemente cerco di confezionare una risposta che non sia caustica e soprattutto irriguardosa.
- Ma oggi in ufficio mi dicevano che l'Italia gioca domani, ho risposto cercando raggiungere velocemente una scorciatoia al silenzio video calcistico. - Se volete quindi la vediamo domani, confidando che domani è un altro giorno e si vedrà, come cantava Ornella Vanoni.
- C'è un'altra partita stasera.
- Ah sì, che birboni questi giocatori, rispondo a denti stretti. - E quale?
- Boh, guardiamola!!
Arriva l'ora della partita, tutti se ne dimenticano e io zitto zitto non faccio cenno.
A un certo punto uno dei due eredi meravigliosi che allietano la mia vita quotidiana, improvvisamente, ha uno scatto adrenalinico e si ricorda.
- La partita, papi, la partita!!!
La cerco, la trovo, scopro che è Galles contro il Belgio e penso "mai più senza", ma dopo aver fatto tutto quello che potevo fare senza dedicarmi a tale spettacolo, mi siedo insieme a loro e a loro madre a guardarla, almeno di sbieco.
Qualcuno fa goal, qualcun'altro fa fallo, qualcun'altro ancora si fa male. Insomma la solita noiosa solfa che non ho mai potuto reggere.
Ma c'è un ma, che rende tutto meravigliosamente stupendo.

A un certo punto uno si fa male, sono tutti intorno a uno che sembra morire all'istante, entrano i medici che Grey's Anatomy in confronto è una barzelletta sui carabinieri, la gente sugli spalti urla e non si capisce bene perché e anche il telecronista telecronaca in maniera insistente giustificando il proprio stipendio, credo, lauto e ricco di benefit.
E' proprio in quel momento che Bianca domanda, bella come il sole:
- Ma quello lì in piedi, perché ha un postit sul braccio?
Io e mia moglie ci guardiamo in faccia senza capire, guardiamo il video e non capiamo.
Allora lei, Bianca, si alza e va vicino al televisore e con il suo ditino innocente indica uno in piedi di fianco al moribondo ormai pronto per l'ultimo viaggio.
- Questo, non lo vedete?
Noi aguzziamo la vista, c'è chi inforca occhiali per meglio fotografare la realtà.
Insomma, era la fascia  intorno al braccio del capitano, gialla come un postit.
Bisogna segnarsele queste cose, perché la memoria svanisce e la famiglia ne patisce.

Il vento, il cappello, l'uomo

Dove: una grande piazza centrale della città. Quando: una mattina invernale, all'alba, con sole appena nato, cielo terso e vento gelido,...