martedì 28 febbraio 2017

Crauti vs ebook

"Io non capisco la gente, che non ci piacciono i crauti...", borbottava Monica Vitti in una famoso pezzo surreale (credo di Bruno Lauzi) degli anni '70, in un altrettanto famoso show televisivo.

Ecco io non capisco la gente che non ci piacciono gli ebook.
Ma qual è il problema?
La necessità, ogni volta che si parla di qualsiasi argomento, in questo porco paese, di mettere di fronte Bartali e Coppi, il Milan e l'Inter o il Pci e la Dc, è veramente insopportabile.
Perché sempre contrapporre?
(Qui un bell'articolo su L'Espresso, molto centrato).

L'ebook, arrivato ormai da anni, è una delle forme più straordinarie di lettura.
Facile, semplice, di immediata portabilità, il lettore ebook contiene un numero di libri che l'italiano medio non vede neanche (figurarsi comprare e leggere) durante tutto l'arco della vita.
Consente di portare con sé tutta la libreria di casa (credo che il Kindle ne possa contenere fino a 2.500, ma non ne sono certo, quasi la metà della mia cartacea), permette di creare delle note, di ritagliare i pezzi che ritieni più interessanti, passare da un capitolo all'altro in un battibaleno, accedere immediatamente al vocabolario se ti serve qualche delucidazione). E poi, ora che sono tutti retroilluminati, ti permette anche di leggere al buio, risparmiando pure sulla bolletta: per gli insonni, la manna!
E poi si può acquistare immediatamente, con non pochi vantaggi sui costi.

L'ebook è una forma alternativa. È una forma in più, non toglie nulla, anzi aggiunge. E non fa la guerra alla carta, anzi la valorizza.

Io ho un personale approccio ai libri digitali.
Premetto, preferisco quelli cartacei. Il contatto fisico, l'odore, la libreria in casa, i colori, le coste, i titoli, gli autori, il caos conseguente che l'arredamento necessariamente deve ospitare, la polvere...sono sensazioni insuperabili e insostituibili.
I libri, quelli che ritengo imperdibili, li ho in carta e li compro cartacei. Sempre.
Ma l'ebook mi permette di acquistare libri che probabilmente non avrei mai acquistato su carta.
Quelli di autori che non conosci bene e vuoi provare; quelli sicuramente più 'leggeri'; quelli tipo manuali; i racconti che in fondo non reggo proprio; alcuni graphic novel; grandi classici che ho perso negli anni e che volevo rileggere o semplicemente avere.

Leggere sul lettore ebook è un'esperienza, sempre nuova, sempre affascinante.
Non è vero che affatica di più gli occhi, non è vero che il libro ha un altro 'sapore', non è vero che si perde la voglia di leggere.

Perché non si può vivere almeno per qualche ora un po' più tranquilli e godere di tutte le possibilità che il mondo oggi ci offre?

lunedì 27 febbraio 2017

Ho messo la testa a posto!

- Ciao, sai che ho messo la testa a posto?, dico brutalmente al mio interlocutore, da sempre aperto alle discussioni che volano alto, ma molto alto, anzi altissimo.
Lui mi guarda e assume la postura da vero intellettuale, sorregge il mento con una mano e corruccia la fronte e le sopracciglia, si mette comodo e si appresta a dispensare pillole di saggezza.
- Cioè? mi domanda accendendosi la pipa, vero e unico strumento di chi usa la testa non solo per metterci sopra un cappello. Rimango un po' deluso, mi aspettavo già da subito argomentazioni più sofisticate.
- Cioè, cioè, cioè...facile da domandare. L'argomento è complesso e forse dovremmo dedicare del tempo di qualità, non solo qualche minuto strappato a ben altro, gli rispondo seccamente, per fargli capire subito che stiamo affrontando questioni da non prendere troppo alla leggera.
- Vabbè ti chiedo scusa. Hai svoltato nella vita? Hai sovvertito qualche ordine costituito? Hai messo in discussione tutti i tuoi parametri esistenziali?, mi domanda troppo seriosamente, prendendomi molto sul serio e assumendo un'aria seria che più seria non c'è n'è.
- Dopo mesi di tentennamenti, dopo analisi accurate, dopo aver valutato con grande attenzione le eventuali ripercussioni, dopo aver guardato con attenzione gli occhi delle persone che mi circondano e le loro reazioni, dopo aver finalmente compreso quale era l'impatto delle mie decisioni e delle mie scelte per la mia cerchia di conoscenze, ma soprattutto per il mondo intero - sai con l'arrivo di Trump bisogna prendere posizione, non si può stare solo a guardare e criticare - bene, dopo tutte queste premesse, ho svoltato, ho deciso, ho scelto. E fine.
Lui comincia dare segnali di irrequietudine.
Ha occhialini di prammatica, si veste un po' vintage, Clark's ai piedi, giacca di velluto un po' sfondata, forse abita anche in una mansarda piena di libri di filosofia e di astrologia.
- Mi sembra una decisione storica allora, mi rimanda.
Non vuole dare la sensazione di non aver capito (e non potrebbe essere altrimenti visto che non gli ho ancora spiegato una mazza!) perché lui capisce tutto prima di tutti, ma nello stesso tempo è curioso e quindi adotta una tattica interlocutoria.
Io lo guardo, lui mi fissa massaggiandosi nervosamente le mani, io abbasso lo sguardo, lui prende la pipa e ci giocherella agitato (versandosi il tabacco ancora incandescente sui pantaloni), io mi gratto il naso - anche perché con questo tempo le allergie cominciano a farsi sentire, lui si alza, io anche, sembra quasi che ci prepariamo a uno scontro fisico.
- Insomma, caro mio, mi sono tagliato i capelli, dopo mesi, gli butto lì tutto d'un fiato, consapevole che le reazioni da parte sua potrebbero essere sconvolgenti e incontrollate.
- Ma mi stai..., comincia a dirmi, ma lo fermo subito.
- Sai, il problema non era se tagliarli o no. Mi manca tutto nella vita ma non di certo i capelli, questo è sicuro, e quindi ogni tanto la folta capigliatura deve essere oggetto di un intervento regolatore.
Lui continua a fissarmi. Vedo anche che stringe i pugni abbandonati sui fianchi, non so se per alzarli sul mio splendido viso oppure solo per reazione istintiva.
- Il problema vero, che non mi faceva prendere sonno nelle notti di questi mesi, era quale taglio adottare, visto che li ho sempre portati banalmente corti e oggi sentivo l'esigenza di cambiare. E quindi mi stavo struggendo nel dilemma.
Lui è ormai sconfitto, lo vedo anche dal modo in cui si accascia pesantemente sulla sedia. Ormai non ha più argomenti. È vuoto.
- Recentemente mi hanno segnalato un nuovo parrucchiere, sono andato fiducioso e questo è il risultato.
- Perché, mi domanda stralunato. - Non va bene?
- No, per nulla. Da oggi è sancito che ho la faccia da pirla. L'ho sempre un po' accarezzata come idea ma non volevo crederci, ma oggi è ufficiale. Spero che i miei figli non si vergognino di me e che non abbiano difficoltà nella loro vita futura.
Gli picchio una mano sulle spalle in segno di commiato e di rassegnazione.
Lui abbassa lo sguardo per manifestare tutta la sua solidarietà. Apprezzo molto, in questo momento, il suo silenzio di rispetto.
Deciso ad affrontare il mondo, anche Trump, con la faccia da pirla, mi giro e me ne vado, incassando la testa nella spalle, confidando così di non essere troppo notato.
Tanto, ormai, è ancora per poco.

venerdì 24 febbraio 2017

È bello...

È bello rincontrare persone che avevi 'perso' da tempo.
È bello ritrovare, almeno per quello che il tempo e i cambiamenti lo consentono, le antiche confidenze, le antiche intese, le antiche comprensioni.
È bello ritrovare occhi che pensavi di non veder più.
È bello fare le consuete battute.
È bello parlarsi raccontarsi.
È bello anche solo guardarsi.
È bello poi lasciarsi, con la sola speranza che possa riaccadere.
E con la temuta consapevolezza che forse non ci sarà più altra occasione.
In fondo la vita è una serie infinita di attese, intervallata da qualche certezza. 

mercoledì 22 febbraio 2017

Liala docet

Leggo, un po' per caso, un articolo, questo.
Lo leggo perché il tema mi ha sempre attirato, visto che ci sono passato. Scrivo anche delle cose sul tema...
L'ho letto con la massima curiosità, visto che il titolo, con grande maestria, stimolava, apriva scenari nascosti, riempiva la mente di domande.
Una volta finito ho pensato:
- Ormai hai una certa età. Il tempo che hai davanti è sensibilmente più breve di quello che hai già vissuto, è sempre di meno. È imperdonabile disperderlo, sprecarlo. Leggere questo articolo - o quello che è - è stato proprio questo: hai sprecato tempo.
Sono certo che il giorno in cui lascerò questa valle di lacrime, il rimpianto andrà ai minuti che ho buttato nel leggerlo e, forse, anche nel scrivere queste povere note.

Allora il sublime autore ci racconta la sua personale esperienza nell'austero mondo della separazione coniugale.
Ci elenca tutto quanto successo, ci informa che tutto andava a rotoli e che la separazione fu la scelta naturale .
Bene, o meglio male, perché dispiace.
Poi ci dice che la vita da separato è tristezza, solitudine, dolore, abbandono, gelosia, ricordi...insomma, assoluta infelicità.
E fin qui ci sta.
Poi dovrebbe arrivare il divorzio, come normale che sia.
Ma loro, cioè lui e lei, che si erano separati per manifesta incompatibilità e reciproco rancore, non cedono, indefessi paladini della casa del matrimonio. Loro no, mica si fanno cogliere impreparati. Si vedono il giorno e, ci racconta il prode guerriero autore di questo sublime esercizio letterario, che "hanno preferito l'amore al nostro passato".
Cioè, dopo essersi tirati piatti e insultati per mesi, si sono visti un attimo, magari si sono bevuti una cosa insieme, lui s'è magnato pure un cornetto, lei nel frattempo ha chattato con la mamma che le chiedeva la ricetta della coda alla vaccinara, e poi hanno deciso, insieme eh!, di scegliere l'amore.
E sono tornati insieme e a tutt'oggi vivono e lottano insieme a noi nella rutilante esperienza quotidiana che si chiama vita.
L'articolo è una traduzione dall'edizione americana, credo.

Caspita, un peccato aver letto questo articolo solo ora...
Come cantava Jannacci, 'se me lo dicevi prima...'.
Devo selezionare meglio le mie letture. E di conseguenza anche le mie scritture. 
Per il bene comune. 

venerdì 17 febbraio 2017

Figli che se ne 'vanno'

Volevo scrivere qualcosa sul ragazzo che si è suicidato dopo che i genitori lo avevano scoperto che si faceva qualche canna. E su quanto ha dichiarato il padre sull'inadeguatezza dei genitori nell'educazione dei propri figli.
Ma non ce la faccio.
Troppo difficile, troppo duro, troppo tutto.
E tutto troppo facile, nel criticare, nel giudicare, nell'esprimere pareri, al caldo della propria casa.
Bisogna trovarsi in quelle situazioni, bisogna dover affrontare prima le difficoltà e il mondo che le circonda, bisogna vivere in prima persona la perdita di un figlio per poter parlare.
Il resto sono solo chiacchiere, solo parole al vento, solo inutili prove d'orchestra che non portano mai al vero concerto.
Io posso concepire di smarrire tutto - soldi, salute, stabilità, amore, il portafoglio... - ma la sola idea di perdere uno dei miei figli mi mette in uno stato di prostrazione totale, di tristezza infinita, di mancanza d'aria.
È impensabile, è impossibile.
Quindi meglio tacere, rispettare il dolore assoluto, il peggiore di tutti, e stare in silenzio.
E tornare a casa dai propri figli e coccolarli, all'infinito.

martedì 14 febbraio 2017

San Valentino /e i cocci sono tuoi

L'amour, toujours l'amour

L'amore va l'amore viene
ma sempre, in fondo, ti conviene
L'amore regge l'amore cede
anche se alla fine sempre ci lede
L'amore è vicino l'amore è lontano
ma in fondo, che ci frega?, sempre ce lo godiamo
L'amore vive l'amore muore
ma lo fa sempre distruggendoti il cuore
(e i cocci sono tuoi)

E dopo questi 'versi' deliranti, qui sotto, una delle più belle canzoni d'amore (al maschile, of course) mai scritte.
Ascoltare per credere.

(Leonard Cohen, I'm your man)



lunedì 13 febbraio 2017

Un cammino sempre più breve

Il tema del tempo che passa è vecchio come il tempo.
Chi più chi meno (molti meno, hanno altro da pensare per fortuna loro) hanno affrontato la questione, rigirandosi come calzini, di fronte all'orologio che scandisce i secondi in modo inesorabile.
È una gabbia da cui non si ha modo di uscire, l'unica vero aspetto della vita terrena su cui il povero umanoide non può intervenire.

Ogni giorno, di fronte allo specchio mattutino i segni fisici del decadimento, i capelli che ormai sembrano spinaci andati a male, le occhiaie che aumentano nonostante il sonno ritrovato, i dolori sempre più diffusi che ti prendono alla sprovvista nelle parti del corpo più nascoste, sono ignobili richiami d'attenzione a le ore che passano, anche nei momenti di maggiore felicità e spensieratezza.
A volte capita di rivederti in alcune foto, anche di pochi mesi fa, e ti accorgi ancora di più che il fiume scorre, inesorabile, senza possibilità di frenarlo, impetuoso.
Ma i segnali non sono solo fisici.
Sono soprattutto quelli di disponibilità verso il mondo, di capacità di comprendere le situazioni, di riuscire come una volta a rimanere concentrati sulle cose e sulle situazioni che ti paiono davanti.
Ma soprattutto, sopra tutto, ti ritrovi con facilità improvvisa, a sognare a occhi aperti, a vagare con la mente in mondi e storie che ormai sono solo nella tua mente, non esistono, o meglio non esisteranno mai.
È una sorta di antidoto, penso, contro la sempre più lontana possibilità che le cose cambino, che la vita offra ancora possibilità di sterzare, che il mondo possa offrire nuove prospettive.
Non è un improvviso risveglio, è una lenta ma una costante veglia.

Poi ti raccatti, fai l'elenco delle incombenze quotidiane, metti in fila gli affetti a cui ti devi dedicare, infili le scarpe e ricominci a camminare.
Ma ogni giorno i piedi fanno sempre più male e la distanza che riesci a percorre è sempre, un pochino, più breve.

mercoledì 8 febbraio 2017

Ce la metto tutta

Caro Andrea,
fino a quando non si diventa padre non si può sapere cosa significhi.
Chi non ha figli non lo può capire, non può comprendere la gioia infinita che si prova a diventarlo e a esserlo.
L'amore per i figli è una cosa che non si può raccontare, spiegare. È impossibile.
Si prova e basta quando lo si vive.

Per questo motivo le discussioni infinite che stiamo facendo da qualche giorno - dopo il tuo sfogo disperato l'altra sera sul tema 'pallavolo' - sono per me da una parte doverose e direi obbligatorie, dall'altra mi stracciano il cuore.
Vederti distrutto, non apprezzato, messo in discussione e, forse, anche un po' deriso da qualcuno, per me è una lancia nel costato.
Dall'altra parte, mi dico, che questa è la vita. Fino a oggi tutto è stato più semplice, soprattutto per te, ragazzo intelligente oltre la media che porta a casa solo successi.
Oggi è il momento di una 'sconfitta', da tutti i punti vista.
Ma, come mi hai detto stamattina, c'è un ma.
- Sai papi, questa cosa della pallavolo mi ha messo a dura prova. Sono stato male, molto, per settimane e ho cercato di tenere duro. Ma non va.
Io l'ho stretto forte a me, cercando di trasmettergli soprattutto conforto e rassicurazioni. Anche nella 'sconfitta'.
- Ma Papi, c'è dell'altro.
Io mi irrigidisco.
- Dell'altro?
- Sì, da settimane ho un compagno di banco che non è cattivo, anzi, ma è un continuo chiedere aiuto, per ogni cosa, e io non mi sento più padrone di me stesso. Si è appoggiato a me completamente. Passo mattinate con questo fardello sul collo, come se fossi io a dovermi occupare di lui. Non ne posso più.
Ascolto.
- Tra la pallavolo e questa cosa della scuola, io sono nervosissimo, rispondo sempre male, sono stressato a mille (gli piace tanto questa espressione). E non ne posso più.

Essere padre è difficilissimo, è una militanza 24 ore su 24, 365 giorni all'anno.
Io non so se sono un bravo padre, non lo so proprio, in particolare da un po' di tempo a 'sta parte.
Ce la metto tutta...ce la metto tutta.
Credimi.
Un bacio
Papi

venerdì 3 febbraio 2017

La terza via tra cedere e tenere duro

Non so cosa fare.

L'antefatto.
Andrea si è iscritto a pallavolo, in una società abbastanza rinomata. Con l'intento di imparare, perché gli piace molto questo sport.
La società ha numerose squadre, di diverse età, maschili e femminili, campionati di diversi livelli, in giro per la provincia.
Competizione vera, e competitività, sia tra i ragazzi sia spronata dagli allenatori.
Andrea non è nato 'sportivo'. Ha un fisco asciutto, ma molto asciutto, cioè è magro in croce.
Non è uno spericolato, non è uno che si butta, da tutti i punti di vista. Ma gli piace molto.
Solo che è molto indietro nella preparazione, rispetto ai suoi compagni.
Risultato?
Non è bravo, è evidente, non gioca mai, non lo coinvolgono mai e...

Il fatto
Ieri sera,  partita amichevole con le ragazze di pari età, di puro allenamento, vado a prenderlo. Erano le 20,30, acqua a catinelle, buio pesto, in mezzo alla tundra ai margine della società civile, dopo un giorno di lavoro intenso.
Sale in macchina, taciturno, visibilmente seccato.
- Allora, cosa c'hai, gli domando con poco tatto e visibilmente preoccupato.
Vedere mio figlio che ha qualche problema per me è come se mi condannaste all'ergastolo nelle prigioni thailandese. Entro in stato di agitazione massima, soffro fisicamente, divento aggressivo.
E lui scoppia in lacrime, come mai l'avevo visto, neanche quando era un piccolissimo essere appena arrivato su questo porco mondo e reclamava il latte dalla sua genitrice.
Non accendo l'auto. Vado dietro con lui, voglio capire.
- Non mi fanno mai giocare, neanche in queste partite in cui il risultato non conta. Come faccio a imparare se non gioco mai. E giù lacrime, disperato.

La faccio breve.
Lui non sta bene in quel posto. Si aspetta di imparare, si aspetta un educatore/insegnante invece di un allenatore come di fatto è.
- Questa è una squadra. Qui tirano su i ragazzi più bravi, fanno tornei, coltivano i talenti nella pallavolo. Se ti spetti che il tuo allenatore faccia da insegnate è meglio che te lo scordi, gli sussurro deciso. Non voglio dargli false aspettative, questa è la realtà.
- Forse abbiamo fatto la scelta sbagliata. Qui o dimostri che stai imparando, che vuoi crescere, oppure sarai sempre ai margini. Gioca chi è più bravo, come tra i professionisti. Non ti aspettare trattamenti diversi, concludo.
E lui sempre più disperato.
Cerca di ribattere, ma le mie parole un po' dure, ne sono certo, lo fanno riflettere e vedere la realtà da un punto di vista diverso.
A casa si ricomincia la discussione. E io butto lì:
- Se vuoi smetti di andare, non ci vai più. Inoltre non è che stai legando con i compagni che infatti, loro giocando, fanno gruppo a sé e tu nei sei fuori. Ma lo devi decidere tu. Qualsiasi decisione per me va bene.
Lui ci pensa un po' e decide che vuole mollare.
Io assecondo la sua decisione e nei prossimi giorni comunicheremo a quei bifolchi che non andrà più.

E allora?
E allora ho passato gran parte della notte a domandarmi se questa è una sconfitta, se abbandonare è giusto e invece sarebbe meglio non mollare.
Ho passato ore a pensare se sto avvallando un pensiero 'debole' oppure sto giustamente facilitando una volontà di mio figlio.
Ho passato momenti in cui mi sono chiesto se sto assumendo il ruolo giusto, se sto facilitando una fuga alle prime difficoltà oppure se sto semplicemente aiutando mio figlio a fare quello che lui crede sia più giusto per sé.

E ancora adesso non lo so, non so se sto facendo bene o male.
Non lo so, maledizione.




Il vento, il cappello, l'uomo

Dove: una grande piazza centrale della città. Quando: una mattina invernale, all'alba, con sole appena nato, cielo terso e vento gelido,...