mercoledì 8 agosto 2018

Un amore di editor

Stroncato su tutti i fronti. Senza appello. Senza se e senza ma.

Ho scritto un libro, un romanzo ( anche se a questo punto non so neanche come chiamarlo, visto il successo…), comunque una storia che a detta di famiglia e comuni amici, ma soprattutto dopo che persone (molte, non qualcuna) che operano a diversi titoli nel mondo editoriale avevano dato parere positivo e rilasciato pareri lusinghieri, alla prova del fuoco - invio a una trentina di editor in altrettante case editrici e dopo aver richiesto la collaborazione di un agente letterario che ha presentato a numerosi altri editor - le risposte sono state tutte negative.

O meglio.
I miei invii alle case editrici non hanno ricevuto alcuna risposta, neanche una pernacchia, uno sputo nell’occhio, un insulto che mi invitava a coltivar patate e a togliermi del loro orizzonte.
Rien, nothing, nada, niente di niente. Punto.
La collaborazione con un’agenzia letteraria dopo circa un anno e mezzo (!) ha sortito una gentile e decisa risposta che si riassume in una frase tanto sibillina quanto trasparente. - Il suo testo è scritto bene ma non è commercializzabile.
Che è un po’ come quando a scuola, durante il ricevimento parenti, la professoressa diceva al genitore: - Il ragazzo si applica, ma il risultato è quello che è.

Bene, arrivederci e grazie.
Non che nutrissi grandi speranze, ormai c’ho una certa età, e le illusioni o i colpi di fulmine sono alloggiati là in fondo, in un angolo e diventano sempre più piccoli.
Ma visto che leggo molto, anzi moltissimo, e soprattutto narrativa contemporanea, quanto io ho scritto, cercando di essere il meno presuntuoso possibile, ritengo sia all’altezza di tanti libri che mi passano per le mani e che finisco con sudore e grande fatica.
E naturalmente non parlo di Umberto Eco o di Roth o Camilleri.
Parlo di quella fascia media di libri che affollano le librerie e che hanno un certo successo editoriale e di critica.

Ma si sa, non sempre si può decidere del proprio destino.
E pensare che da qualche settimana ho concluso pure la seconda fatica, affine alla prima, almeno come scenario, ma totalmente differente. Che naturalmente, a questo punto manco tiro fuori, non dico dal cassetto, ma neanche dal computer. Dio me ne scampi.

Ora, in un periodo in cui sto rivoltandomi come una calzino, la decisione è una sola: - Paolo, lassa stà e pensa ad altro.

Vorrà dire che il mondo dovrà vivere senza le mie righe e parole.
Si sa, al peggio non c’è limite.
Ecco.


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