Domenica mattina, questa appena passata.
Bianca e sua madre si involano con amiche di scuola a vedere (ma lo sapete che a Milano la domenica mattina a 5 euro si vedono i film?) l'ultimo film di grido della produzione d'animazione.
Andrea non ci sente e 'insieme alle bambine io non ci vado, chiaro?' dichiara con quella voce a volume altissimo che gli è venuta.
Allora che fare?
Propongo:
- Amore mio che facciamo? Che ne dici se andiamo al nuovo centro commerciale di Arese che è l'unico che ospita un negozio originale della Lego? Sono mesi che ne parliamo...'.
Andrea continua avere una passione smisurata per i Lego, in particolare per quella produzione smisurata di navi spaziali e scene di battaglie che escono dai film della serie Star Wars.
- Bellissimo, andiamo, mi risponde entusiasta. Una volta tanto...
Ci svegliamo presto e inforchiamo l'auto. Alle 9,15 siamo già là. Voglio evitare il popolo bue che presto affollerà il girone infernale e che passa le sue giornate di festa a bighellonare, spendere e mangiare al chiuso sentendosi finalmente realizzato.
Non c'è ancora in giro quasi nessuno.
Da buon sociologo della domenica arrivando non posso che andare con la mente al passato glorioso di quei posti che in origine ospitavano la gloriosa - e un po' tanto buzza - Alfa Romeo, rivedendo tra un negozio e l'altro fantasmi in tuta blu che si aggirano sperduti, catene di montaggio ormai obsolete abbandonate in un angolo virtuale e mani sporche di grasso piene di dignità e fierezza.
Il mondo va avanti o forse indietro, ma comunque si adatta, cambia, ci mancherebbe, ma la tristezza, o comunque la malinconia di un mondo ormai perduto per sempre sale alla gola stringendola, mandando per un attimo i polmoni in debito di ossigeno.
La mente va subito a un'altra domenica mattina, di tantissimi anni prima, in cui con mio padre - chissà per quale occasione - avevamo visitato la fabbrica, almeno un pezzo, in una di quelle giornate 'aperte' in cui la fabbrica, cerniera centrale di una società, si apriva alla comunità.
Non posso fare a meno, in un istante, di domandarmi dove sia oggi l'Alfa Romeo, che fine hanno fatto le migliaia di persone che vi lavoravano. E dove sia mio padre ora.
Mi passo una mano sulla faccia, come per cancellare i ricordi e le malinconie.
- Sono qui con mio figlio, questi pensieri un po' lugubri, oggi, non fanno minestra, mi dico, citando una persona che frequentavo assiduamente tempo fa.
Bene, cominciamo la visita, dopo un parcheggio facile visto che i vasti piazzali che ospitano le auto sono ancora sostanzialmente vuoti.
Entriamo. Un tripudio di negozi, scale mobili, luci, aria condizionata, commesse dal trucco improbabile alle prese con la preparazione dell'invasione quotidiana, odori, profumi. Chissà quante persone ci lavorano qui dentro, penso.
Andiamo subito alla ricerca del negozio della Lego. Lo troviamo, entriamo, Andrea comincia la sua scansione con occhio esperto, valuta, soppesa.
Una giovane commessa di circa vent'anni dal viso solare e sorridente ci indica, suggerisce, mostra, motiva. Andrea è tosto, non si fa impressionare, rincalza, discute, ne sa lui più di lei.
Io intanto mi guardo in giro e mi ripeto 'qui, mai più!', alimentando la mia spocchiosa spocchia snobista.
- Papi, qui non c'è nulla di che. Ci sono le stesse cose che c'erano a New York, e i pezzi sfusi sono solo quelli di base. Andiamocene, chiosa un po' deluso.
Acquisto solo due calendari dell'avvento - uno di Star Wars per lui e uno di Lego City per Bianca - e usciamo.
L'ultimo obbiettivo è comprare dei pantaloni per lui. Ormai cresce alla velocità della luce e per l'autunno non ha più nulla che gli vada bene. Zara, vicino, perfetto.
Ci divertiamo come pazzi, guardandoci in giro, scherzando, abbracciandoci ogni volta che ci va.
- Abbiamo finito, facciamo un giro e vediamo cosa c'è? gli propongo. - Intanto che ancora non è ancora arrivata l'orda barbarica, che dici?
- Ok, mi risponde. - Mi piace questo posto, mi risponde. Contento lui..
Negozio della Bialetti, compro una moka, visto che quella che abbiamo a casa, dopo tanti accorgimenti, fa comunque un caffè da vomito.
Negozio della Lindt, compro quattro tavolette di cioccolato dai diversi aromi.
Negozio che non so come si chiami - c'è anche in centro a Milano - compro finalmente dopo anni una giacca di velluto, seguito da una commessa carina di circa trent'anni che non mi stacca gli occhi di dosso e che alla fine, appena Andrea si allontana un attimo per guardarsi in giro, mi dà il biglietto da visita del negozio con il suo cellulare aggiunto a penna. Manco fossi Cary Grant. Che cestino appena esco dal negozio. Se si vuole 'cuccare', almeno con me, ci vuole un po' più di eleganza e di stile, eccheccavolo. Oppure nisba.
Forse, a questo punto, abbiamo finito davvero.
Prendiamo una delle diecimila scale mobili che alimentano il passaggio tra i piani del centro, e Andrea mi guarda con occhi tristi e mi domanda:
- Qualsiasi cosa succede, è vero che tu mi vorrai sempre bene?
Io lo guardo stralunato, interdetto, spiazzato.
- Di più, ogni giorno di più, gli rispondo, con un magone che cerca di salire e che io riesco buttare giù. - Ma cosa pensi possa succedere? gli chiedo incredulo.
- No, no, niente, niente... e si allontana.
Poi finalmente ce ne andiamo.
Tappa in città alla Feltrinelli, poi pizza da Spontini, poi finalmente casa, dopo avere incrociato il resto della famiglia alle prese con un panino poco lontano.
Giornatona.
Stamattina, portandolo a scuola, Andrea mi ha detto, cosi' improvvisamente.
- E' stata una bellissima mattinata domenica, Papi. Siamo stati proprio bene.
Mi ha fissato negli occhi per qualche secondo di troppo e poi mi ha schioccato un bacio ed è entrato nella scuola.
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