... si innamorò perdutamente, di una donna che non l'amava niente.
Così cantava De André nella bellissima, e tristissima, Ballata dell'amore cieco.
Così narrava dell'annientamento di un uomo per la propria donna che non voleva altro che distruggerlo.
Ho risentito l'altro giorno questa canzone, insieme alla Canzone dell'amor perduto, ancora più triste, perché ineluttabile, perché vera e non surreale come la prima.
De André aveva la capacità di affondare lame lunghe e affilate nel cuore, a volte lasciando speranze, spesso chiudendo la partita invece senza alcuna possibilità di rivincita.
Ascoltare oggi fa quasi lo stesso effetto della prima volta, stupore all'inizio, e poi dolore fisico nella scelta delle parole e nell'impossibilità, in fondo, di cambiare quello che è, quasi sempre scritto.
E come allora, ti fai mille domande, ti ritrovi ad analizzare la vita che hai vissuto, ti scavi dentro per cercare di capire se puoi fare la stessa fine, che ruolo stai ricoprendo.
E ti accorgi comunque con quale eleganza, con quale poesia, con quale distinzione le canzoni di De Andrè hanno sovvertito l'epoca in cui sono comparse e come ancora oggi sono non solo ricordi di reduci.
Poi apri il computer, navighi, e ti imbatti in questa sciatteria 2.0.
Non merita neanche un'analisi superficiale, tanta è la superficialità, tanta è la stupidità, tanta è l'ovvietà dell'analisi.
Se volete leggete questo articolo.
Se volete ascoltate le canzoni di De André.
Se volete fate un confronto.
E allora capirete perché ieri era meglio di oggi. Speriamo nel domani.
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