martedì 17 gennaio 2012

Un mare di bruttezze

Un popolo di santi, poeti e navigatori...
E mica tanto, ormai.


Santi pochini. Quelli nominati nel nostro tempo (eletti?, sanciti?, promossi?, come si dice...) hanno dalla loro lo svantaggio evidente di aver vissuto la vita nel presente, e quindi senza quell'alone fantastico ed eroico del santo 'del passato'. Insomma i iracoli roboanti li puoi raccontare senza pericolo solo dopo duecento anni, non prima. Rischi che qualcuno testimoni contro...
E poi nell'Italia di oggi c'è molto più spazio, anche mediatico, per cialtroni, disgraziati e furbacchioni.

Poeti? Mmmmh, anche quelli sempre di meno. Categoria maledetta quella dei poeti, da sempre un po' brutti, sporchi e anche un po' cattivi. Oggi l'immagine del poeta italiano è quello che non sbarca il lunario, magari assistito dalla legge Bacchelli che gli procura un sostegno almeno per mangiare.

E poi vengono i navigatori. Dalle notizie che ci giungono dal Giglio, questa è una categoria in estinzione. Non tanto per l'imperizia, per l'errore - anche causato da una sbruffoneria inaccettabile -, ma soprattutto per la codardia, per l'imperdonabile egoismo dimostrato - almeno sembra - dal sommo comandante.
- Il capitano è l'ultimo ad abbandonare la nave!
Questa è l'immagine epica che soprattutto i romanzi dell'ottocento ci hanno raccontato, anche grazie ai disegni drammatici che spesso quei romanzi accompagnavano.
Io sono della generazione 'venuta su' con Moby Dick, Salgari e Sandokan.
Quei libri, almeno nelle versioni per ragazzi (ne ho ancora qualcuno nella libreria!) erano ricchi di disegni che contestualizzavano il racconto e davano spazio alla fantasia visiva con immagini drammatiche e talvolta di una violenza inaudita.
E il capitano, nei naufragi in mezzo ai flutti impazziti degli oceani, era l'ultimo a prua che affondava insieme alla nave con la sua capigliatura al vento, di fianco all'albero maestro spezzato e vele a brandelli.
Quello che leggiamo in questi giorni è tutt'altro che epico, e direi anche poco edificante.
Un capitano vittima della sua paura che abbandona la nave ancora da evacuare, cerca di scappare con la scatola nera per non lasciare tracce, finge telefonate dalla nave quando è invece in salvo, e soprattutto, scappando, non si occupa di organizzare e salvare gli altri.

No, né santi, né poeti, né navigatori.
Forse oggi siamo diventati un popolo di tassisti, di farmacisti e di benzinai, che inneggiano al libero mercato ma non vogliono perdere le loro economia 'protetta' e i loro privilegi.
Forse oggi siamo un popolo di veline, puttanieri ed evasori.
Forse oggi siamo un popolo di banchieri che fanno di tutto tranne che il loro mestiere.
Forse oggi, e questa è la verità vera, non siamo più niente.

1 commento:

  1. O meglio, non abbiamo il coraggio di essere niente. Mediocrità è la parola d'ordine. Se io sono uguale a te e tu uguale a me mi sento tranquillo, non mi sento strano o speciale, non mi sento solo. La mediocrità tranquillizza, e ai più basta una vita tranquilla e senza pensieri, mediocre appunto.
    Ma dentro abbiamo tutti qualcosa, di bello anche.. basterebbe avere più palle.

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