Uno crede di avere tutti gli strumenti, con l'età, per essere in grado di superare tutto, ma proprio tutto - sì con qualche disagio e tristezza - senza colpo ferire.
E invece la scorza presunta, l'immagine che vuoi dare, la parte che hai scelto di interpretare, di fronte alla morte, crolla. Crolla tutto.
Crolla tutto, in particolare perché la morte di mio padre ha coinciso con il fatto che ormai non ho più genitori.
È sostanziale. Il problema, se così lo vogliamo chiamare, non è che sia orfano. La parola orfano viene usata, nell'immaginario letterario soprattutto nel secolo scorso, per essere accompagnata a bambini soli e persi nel mondo, con tutti i risvolti drammatici e strappalacrime dei migliori/peggiori romanzi d'appendice.
Un adulto non è orfano. Quando definitivamente la natura fa il suo corso, un giorno ti ritrovi semplicemente e violentemente solo.
Ti ritrovi senza punti di riferimenti storici, senza i loro ricordi, senza i loro racconti. Ti ritrovi con una casa piena di vite vissute ormai muta, polverosa, abbandonata, vuota.
La morte di un genitore ti costringe a fare i conti con il tuo passato. E rimane in vita la speranza di spiegare, di capire, di continuare a sperare.
Ma la morte di 'tutti' i genitori è, scusate il gioco macabro di parole, tombale.
Non puoi capire più nulla, non puoi dire più nulla, non puoi raccontare più nulla.
A chi?
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