giovedì 5 maggio 2011

Ciao ciao, mondo!

Quella mattina si svegliò, presto, come sempre.
Andò nella stalla, prese le uova ancora calde, liberò la vacca dal suo nettare bianco, diede da mangiare a galli, galline, maiali, capre, pecore, uccelli, insetti ed esseri insignificanti fino a ingozzarli.
E la rabbia cominciò a farsi strada.
Poi prese il rastrello e andò a sistemare il campo.
E il furore cominciò a soffiare nel suo petto.
Poi raccolse i frutti. Albicocche, pesche, susine, fragole  e tutti i frutti del bosco.
E l'incazzatura continuava a salire. Il respiro aumentava di intensità, e non di certo per la fatica.
Poi tornò verso casa, con il sole che cominciava ad arrossire, forse per la vergogna!, e le ombra ad allungarsi.
Entrò in casa.
Aprì la ghiacciaia.
Prese qualcosa da mangiare.
Preparò la tavola: piatto, coltello, forchetta, sale, olio, pane, brocca dell'acqua...
E poi il bicchiere.
Ma il bicchiere non prese il suo solito posto.
Il furore, l'arrabbiatura furibonda, l'incazzatura solenne lo sovrastò.
Il bicchiere andò a disintegrarsi contro la parete, in mille pezzi, sparpagliandosi sul pavimento e rilasciando migliaia di riflessi rosati.
Lavorare.
Badare a tutti.
Dire sì a tutti.
Pensare al padre anziano, o meglio, vecchio.
Gestire fratelli e sorelle.
Occuparsi di idraulico,
falegname,
lattoniere,
veterinario,
dottore.
Occuparsi dei figli.
Andarli a prendere.
Portarli.
Comprare loro di tutto.
Farsi insultare.
Sentirsi ai margini.
Lavare le proprie povere cose.
Dormire.
Non dormire.
Guidare.
Perdere tutto.
Non ritrovare nulla.
Non fare mai nulla per sè.

Il fattore si alzò dal tavolo.
Non aveva più bisogno di mangiare.
Si buttò su una spalla una giacca pesante.
Aprì la porta.
Se la richiuse alle spalle.
Diede un'ultima occhiata alla casa, ai campi, alla stalla.
Si calò sugli occhi il cappello dalle mille battaglie per combattere quei raggi ormai rossi bassissimi.
Inspirò profondamente.
Si mise le mani in tasca.
E prese a camminare verso l'orizzonte, leggero come l'aria.

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