lunedì 25 gennaio 2010

Un bagno di realtà

Una mattina, calandosi nella vita reale...
L'antefatto.
Non sono più un ragazzino. Vengo in Vespa tutte le mattine in ufficio. 15/20 minuti e tutto si risolve.
La moto a Milano ti cambia la vita, veramente. Solo che, proprio perché non sono più un imberbe adolescente, incomincio ad accusare il freddo. E mi ammalo, ormai regolarmente.
L'ultimo week end l'ho speso a letto con tachpirina, BiBì che mi ha rotto tutti i termometri (e non solo quelli...), mi sono perso la festa di Pilù e ho l'umore sotto i tacchi.
E allora? Ho deciso che fino a che non termina l'inverno, fino a quando questo freddo cane non comincia a scemare, la moto la lascio a casa. E prendo i mezzi.
Mi ci vorrà tutti i giorni almeno 40/50 minuti, andata e ritorno, ma almeno forse riesco a riappropriarmi della mia salute e del mio corpo.
Quindi stamattina mi sono calato nella vita reale, prima sull'autobus che mi consente di raggiungere la fermata della metropolitana, poi sulla metro stessa.
L'autobus era popolato solamente da extracomunitari. In gran parte arabi, russi o dell'est in genere, qualche indiano o simili, qualche nero d'Africa. Io ero l'unico italiano 'produttivo'. Gli altri nostrani erano pensionati, anziani in genere.
Fino a qui tutto normale.
Arrivato al metro mi sono visto circondare da due signore, circa 70anni, pensionate, che chiedevano soldi, carità, attenzione. Con quegli occhi lucidi, un misto di tristezza e vergona.
Più in là, sulle scale, una matrona di 100 chili, cagnolino munita, protendeva un bicchierino di carta per raccogliere qualche moneta.
Sui vagoni, dopo qualche fermata, sale un guitto gitano con violino che ci massacra le orecchie con una improponibile versione di 'O mia bela madunina'. Poi più in là compare una signora, credo rom, con due bambini al seguito - tra l'altro bellisssimi! - si avvicina ai ricchi milanesi per avere qualcosa.
Tutti instintivamente si ritraggono, mettono la mano al portafogli, si stringono le borse...
Finalmente arrivo alla mia fermata. Scendo stremato, in tensione vera.
E da dietro mi sento tirare un braccio, strattonare, tanto che istintivamente mi giro con quell'aria di 'adesso ti spacco la faccia, checcavolo vuoi dalla mia vita?'.
E cosa mi trovo davanti? Un ragazzino, minuto e pure un po' patito, che mi allunga la sua mano e mi dice, in modo gentile, 'signore le è caduto il giornale'.
Io lo guardo, lo ringrazio, gli volto le spalle dalla vergogna e mi avvio con passo deciso per uscire all'aperto.
Il mondo è cambiato, è colorato, è anche un po' incomprensibile, si sentono parole diverse, si ascoltano musiche strane, si annusano odori differenti.
Ma il mondo va avanti, tra mille difficoltà, senza preoccuparsi di chi rifiuta il nuovo.
Va avanti, inesorabilmente, senza dimenticare un po' di gentilezza.

1 commento:

Il vento, il cappello, l'uomo

Dove: una grande piazza centrale della città. Quando: una mattina invernale, all'alba, con sole appena nato, cielo terso e vento gelido,...