venerdì 12 luglio 2019

Perché ci vuole orecchio...ma soprattutto fegato

Quando Jannacci cantava la famosa canzone, io ero giovane e il mondo, nonostante tutte le magagne, era senz’altro migliore.
E tant’è.
Ma oggi, oltre all’orecchio per ascoltare, ci vuole fegato, coraggio, forza per farlo.
Di cosa parlo?
Delle cassette che mio fratello (forse ne ho già parlato in passato, ma ora siamo al dunque) ha registrato intervistando nostro padre e nostra madre sulla genesi della famiglia, sulla loro storia prima dell’avvento dei figli, sulla famiglia allargata, sul parentame tutto, sugli incroci e sui ‘segreti’ di un mondo ormai sparito come neve al sole.
C’è tutto in quelle audio cassette: notizie, dati, nomi, riferimenti, luoghi, persone. Tutto.
Ho tirato fino a qui, ho rimandato fino a più non posso, anche con la scusa che non avevo più un lettore (il mangiacassette...) per potere ascoltare quel nobile archivio.
Ora l’ho acquistato, il lettore di cassette. Ho trovato per pochi euro una marchingegno grande come un pacchetto di sigarette o poco più, che oltre a farti ascoltare con le sue poderose cuffie il sonoro, è in grado, volendo, di tramutare in mp3 il registrato. Garantendo così l’eternità digitale del sonoro catturato.
Ammesso che tutto sia ancora ascoltabile...fate conto che mia madre è morta nel 2001 e mio padre dieci anni dopo.

Ho in testa un progetto ‘editoriale’ che utilizzi la storia della mia famiglia per un racconto - fedele o romanzato non lo so. Tanto non pubblicherò mai nulla quindi tutto è autorizzato.
Ecco, oggi non ci sono più scuse.
Il tempo c’è, gli occhi ancora ci vedono, le orecchie funzionano, il cervello, tra mille atrofizzazioni e rimbambimenti senili, continua essere un buon supporto. La bolletta della luce la pago, le pile le ho... basta solo, a questo punto, iniziare.

L’unica cosa che manca - sono giorni che giro intorno a mangiacassette e cassette - è il coraggio di inserire le cassette (sono ordinatamente numerate in ordine cronologico), chiudere lo sportellino e schiacciare il tasto play.
E ascoltare, ancora, dopo anni, dopo la loro scomparsa, quelle voci, quelle cantilene, quelle parole in dialetto che sicuramente sono scappate, quei modi di dire, quel lessico tipicamente familiare che dopo anni, è ormai scomparso.

Rimando, ogni giorno, ogni ora.
Nei miei consueti deliri insonni, mi aggiro per la casa, sussurrandomi nel buio ‘Ora lo faccio, forza, piantala e parti’, ma poi il coniglio che è in me prende ancora una volta il sopravvento, il terrore mi impedisce di muovermi, di fare, di iniziare.

Nostro padre se ne è andato nel 2011, e abbiamo avuto molto più tempo per frequentarlo, visto che era ormai solo. Il suo ricordo è ancora vivo, presente. La sua voce è ancora qui.
Nostra madre ormai ci ha lasciato molto tempo fa. Riascoltarla non so che effetto possa fare.

È ufficiale, sono un pavido piccolo uomo.











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