venerdì 16 settembre 2016

La banalita' della felicita'

Ricomincia il lavoro, ricominciano le buone abitudini.
Quindi mi ritrovo per qualche giorno solo con i due ragazzi, ormai tornati a scuola.
Io devo riprendere le consuetudini, quegli automatismi che per ora mancano. Infatti Andrea, al primo giorno di gestione solitaria se ne va a scuola senza le due merende (inizia alle 8,00 e finisce alla due, sono necessarie...) e io me ne rendo conto correndo a casa come un disperato, alle 7,50, per recuperare Bianca rimasta sola in casa per quei 15 minuti che mi paiono un tempo infinito.
Il senso di colpa e' assoluto. Per questo banale contrattempo, in quei minuti sotto un'acqua torrenziale senza ombrello, riesco con una facilita' quasi infantile, a mettere in discussione tutta la mia vita, il mio ruolo di padre e tutte le scelte fatte a partire dal giorno in cui ho pronunciato la mia prima parola.
Sconcertante come la mente sia in grado di stravolgere la realta' e il suo contrario con una rapidita' e, diciamolo, una crudelta' infinite.
Rientro in casa, porto Bianca - ricordando la sua di merenda -, ritorno in casa e dopo vado al lavoro.
La sera a casa, in attesa che i due si spengano definitivamente per la notte lasciandomi finalmente solo con me stesso, scanalo svogliatamente la tv, con l'occhio che vede ma non registra nulla.
La mente vaga, gli occhi vitrei, il dito schiaccia sul telecomando come se ricevesse degli impulsi elettrici dall'esterno.
Poi casco su un canale sportivo, e vedo due in carrozzella che si preparano a combattersi. E' Rio.
E' un istante, le due agitano le braccia, e in pochi secondi una delle due (lo capisco dopo che che e' uno scontro femminile) si agita, gioisce all'infinito, piange. Ha vinto l'oro. E' un'italiana.
Mi accorgo che e' senza gambe, che ha combattuto con una protesi e quindi ha solo alcune parti delle braccia. E' una giovane ragazza, dai capelli corti, dai lineamenti dolci.
E' felice come non mai e nella sua gioia un po' convulsa e senza fine mostra tutta la bellezza di avercela fatta, di aver realizzato il suo obbiettivo, aldila' della  retorica che la sua condizione disabile genera.
Scoppio in lacrime, improvvisamente. Di vera felicita', non di commiserazione. Vedere realizzare il sogno di una donna, chissa' a che prezzo di sacrifici e rinunce, e' un'emozione che non riesco a controllare.

Mi rimetto in sesto.
Vado dai ragazzi, ormai lavati e pigiamati e infilati nei loro letti con il libro d'ordinanza pre-sonno.
Li guardo, sani e belli, con tutta la vita davanti, spero, ricca di felicita' e serenita'.
E allora tutto si resetta, tutto si allinea.
Non sono una cattivo padre, no, anche se dimentico la merenda a volte.
Ci sono e sono presente. Faccio tutto quello che posso e riesco. Mi impegno. Con i miei limiti.
Mi occupo di loro, li amo.
Ormai la mia vita e' solo per loro.
Si', sacrificando tutto.

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