martedì 19 marzo 2013

Letterina, ina, ina...

Caro papà,
difficile scriverti.
Un po' per evidente difficoltà logistica, un po' perché sei sempre stato difficile, complicato e impossibile da intercettare.
Non solo per il lavoro, la scusa di tutto e di tutti, anche e soprattutto oggi.
Hai avuto un'infanzia difficile come molti dei tuoi coetanei.
Alle prese con la guerra a 20 anni, circondato solo da donne quasi per tutta la vita, sei riuscito a costruirti una professione, l'azienda e pure a sposarti.
Santa donna tua moglie, che poi era mia madre, che con tutti i suoi difetti, ti è stata accanto oltre cinquant'anni, lavorando, crescendo figli e forse facendo finta di non vedere tante cose; troppo riservata e troppo discreta per sollevare questioni, chiedere, fare domande.
"Io lavoro dalla mattina presto alla sera tardi", ci dicevi sempre, per far pesare questa cosa a tutti, soprattutto quando le nostre performance scolastiche non erano all'altezza.
Quanti litigi, maledizione! Quanto spreco di energie in nome di un scontro generazionale che al tempo - bisogna riconoscerlo - era frontale, politico, formativo, sociale e comportamentale.
Si metteva in discussione tutto, soprattutto la tua autorità, o meglio il tuo essere 'riferimento' per tutto. E tu non ti rassegnavi a questo.
Sei cresciuto sotto un padre padrone, che ti ha trasferito quell'atavico senso di autorità ottocentesco e senza senso alcuno, senza farti comprendere invece che è l'autorevolezza quella che conta.
Più passava il tempo e più capivo che dietro ai tuoi sguardi truci, ai musi che duravano settimane, alle tue urla talvolta insensate, si nascondeva un uomo autorevole nel suo mondo professionale ma di fatto inadeguato, sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista emotivo, a un mondo che stava cambiando troppo velocemente e soprattutto in una direzione che non capivi.
Sono stati anni difficili, sia per la tua ostile vita quotidiana sia per la tua ostinata incapacità di interpretare quanto ti circondava. Sia per i miei limiti, intendiamoci.
Poi siamo diventati 'grandi', mio fratello e io.
Ognuno ha preso la sua strada, tra figli, matrimoni saltati, divorzi al cardio palma, mutui maledetti da osservare.
E poi è arrivato il tuo 'riscatto'. La malattia di tua moglie, che si è protratta per molti anni, e che tu hai comunque fronteggiato con capacità di gestione, con assistenza continua, con affetto, con straordinaria dedizione. Fino alla sua morte.
E poi la tua terza vita. Quella da vedovo, solo in quella grande casa.
Per dieci anni ti sei riorganizzato, ti sei 'raccattato' nel vero senso della parola, hai fatto fronte alla cura di stesso senza aiuto, senza dare problemi, aprendoti anche ai consigli dei figli - non troppi, eh? - senza abbandonarti a nulla.
Una vera sorpresa, visto che pensavo proprio il contrario.
Poi gli ultimi due anni, con il crollo senile, maledettamente devastante perché ti ha portato, sebbene molto lentamente, ad avere problemi crescenti dal punto di vista mentale, fino alla caduta - quella fisica però! - in cui la frattura della gamba è diventata la puntata finale di una lunga vita.
Oggi è il giorno del Papà, una di quelle feste un po' inutili che però abbiamo sempre ossequiato con te, facilitati anche dal fatto che il tuo nome era Giuseppe.
I miei figli manco se lo ricordano, per farti un esempio di come i tempi corrono e cambiano, e forse peggiorano.
Ci hai lasciato comunque un'educazione forte e attenta, una capacità di essere rigorosi.
Di questo ti ringrazio.
Buona festa del Papà ovunque tu sia, e se incontri tua moglie dalle un bacio da parte mia.

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