Quando succedono cose come queste, il primo pensiero è che è tutto un teatro.
Che la decisione di dimettersi del pontefice, prima volta nella storia della chiesa, sia solo un efficace invito da parte dei poteri forti dentro e fuori dello stato del Vaticano, a seguito di una lotta intestina furibonda. Come sempre nella storia, come sempre sarà.
E forse è andata così.
Ma cercando di guardare questo accadimento da un'angolatura differente, con gli occhi meno iniettati di sangue, la decisione dell'alto prelato infonde rispetto e ammirazione.
In un paese dove le dimissioni di fatto non esistono, e anzi sono un contagio da cui abbiamo imparato a stare alla larga come la peste, chi si dimette raccoglie comunque prima sgomento e sorpresa, poi viva e complice ammirazione.
Le dimissioni sono, almeno nella cultura italica, un'azione che non viene contemplata perché in fondo, proprio grazie alla dottrina cattolica di romana chiesa, per qualsiasi peccatore esiste la redenzione e il perdono.
Questa chiesa, quella rappresentata e guidata da questo papa, ha una pessima immagine. Retriva, chiusa, reazionaria, e soprattutto responsabile di un atteggiamento di copertura verso tutte le peggiori nefandezze di cui la chiesa è responsabile, dal tempo dei tempi.
Ma a parte tutto questo, l'odore del gesto di Ratzinger è delicato, proprio perché denota sensibilità, e soprattutto grande onestà verso se stessi e verso il mondo intero.
Una capacità di guardarsi dentro, di sapere valutare le proprie forze. Quando si è al centro del mondo, quando il potere è tutto, saper fare un passo indietro - anche a quell'età - è un atto di grande nobiltà, indipendentemente dal contesto e dall'ambiente che circonda.
Forse qualcuno, in questo porco di paese abbandonato da dio e dagli uomini, dovrebbe imparare la lezione e, togliendosi il cappello, dire a tutti arrivederci e scomparire nel profondo dell'oblio.
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