L'occhio vitreo, lo sguardo perso nel nulla, il borbottio incomprensibile interrotto solo da smorfie di dolore vero, quello fisico.
E poi la rabbia negli occhi, la voglia di alzarsi nonostante tutto, le continue allucinazioni, la ricerca con le mani di cose che esistono solo nella sua mente, il dare ordini comunque, anche in queste condizioni.
E poi tubi, tubicini, sacchettini, pulsanti, termometri.
E infermieri - simpatici e antipatici - dottori, assistenti, pazienti, parenti, finestre sul nulla, cellulari che suonano, risate scomposte da altre stanze, visi disperati, visi distesi, pavimenti lucidi, cartelli scritti a mano con un pennarello scarico (ma non avete le stampanti, porca miseria?)...
Domani l'operazione. Finalmente. O di qua o di là.
O si passa o non si passa.
Ho firmato tutte le autorizzazioni possibili, tutte gli scarica barile per i medici, in modo da assolverli in lungo e in largo da ogni - possibile - conseguenza. E come dar loro torto...
Ormai lui non si muove, parla a fatica, e quando lo fa farnetica di cose assurde oppure di un passato lontano.
È come se vivesse in un mondo tutto suo, di fantasia, con continue immagini dettate dalla realtà.
Mi parla di alberi da frutta, di mele, addirittura di un fico a portata di mano.
E poi di soldi, dei suoi calzoni, di 50milioni (di lire, spero) e poi mi chiede notizie di sua moglie, di mia madre.
E poi... e poi non resisto e me ne vado.
Ci si prosciuga.
Ci si avvilisce.
Domandandosi, cercando di capire, cercando di darsi risposte...
E poi quella sensazione di impotenza da una parte - non sono in grado di fare nulla! - e di indignazione dall'altra, per dover assistere alla fine di un uomo in modo così ostentatamente orribile.
Il nostro mondo si base su un'ipocrisia di fondo, che non prevede dignità, rispetto e onestà intellettuale.
A spese, soprattutto, di chi non può prendere alcuna decisione su se stesso.
E se ci sarà un giudizio, dopo, saremo tutti condannati.
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