mercoledì 9 giugno 2010

Ma vi pare possibile?

Una giornata come tante altre.
Impegni di lavoro, riunioni, chiacchiere al telefono, incazzature consuete, rituali tanto consolidati da essere inutili.
Una giornata normale, insomma.
A un certo punto, pausa pranzo. Sempre più spesso vuol dire continuare a lavorare senza accorgersene.
Sempre più spesso è il momento in cui, solo, riesco a fare quelle cose che sennò, con tutti intorno, non riesco proprio ad affrontare.
Ma oggi no. Giornatona.
Si esce con alcuni colleghi a mangiare almeno uno schifosissimo panino da pagare con un mutuo ventennale.
Si fanno chiacchiere, per lo più di lavoro. Oppure ci si racconta qualcosa della propria vita.
Insomma niente di che.
In un bar.
Vicino all'università.
Pieno di studenti e studentesse. Età media 19/23, credo.
Cioè, a parte la follia di un matrimonio andato all'aria e un secondo in età avanzata con figli ora piccolissimi, questi studenti dovrebbero/potrebbero essere miei figli, per anagrafe.
E devo dire che da un po' li vedo proprio come tali.
Anche le ragazze, alcune bellissime e molto vicine alle bellezze assolute, riesco a malapena a vederle come tali. Sono solo giovani virgulte che potrebbero essere mie figlie. Punto.
Ci sediamo a un tavolo. Siamo in tre.
Io mi metto spalle al muro con i miei commensali disposti di fronte a me.
Di fianco un tavolo rumoreggiante di masculi in piena esplosione ormonale che fanno gli stupidi come solo i maschi sanno fare quando sono in gruppo. Altre persone sparse occupano qualche tavolino intorno.
Di fronte a me due ragazze. 
Cominciamo a mangiare. Io per parlare con i miei colleghi alzo il viso e incrocio, tra loro, il tavolo con le due giovani italiane alle prese con panini, fotocopie, libri, tazzine da caffé, penne...
A un certo punto alzando lo sguardo mi accorgo che la ragazza che vedo  - l'altra mi è di spalle - mi sta fissando.
Continuo la mia conversazione, senza per ora far esplodere il mio ego di maschio maturo.
Rialzo lo sguardo e la ritrovo ancora lì, fissa. Ma stavolta accompagna lo sguardo con uno dei più classici gesti che la storia della seduzione ha inventato: l'occhiolino.
Io guardo allibito. E poi penso che sono senza occhiali e quindi posso aver visto male.
Non mi succede molto spesso nella vita di esserlo, ma comincio a provare un forte senso di imbarazzo.
Passano i minuti e il pranzo, sontuoso e insulso al punto giusto, sta per terminare.
Sento ridere le ragazze e istintivamente alzo lo sguardo. La mantide religiosa è ancora lì, che mi fissa e che mi ripete l'occhiolino, con un'enfasi ancora maggiore.
Io questa volta la guardo, la fisso, e penso a BiBì alla sua età che fa l'occhiolino ai signori ormai in via estinzione. Mi vengono i brividi.
Mi alzo velocemente, vado a pagare.
Lei mi precede, con un sorriso.
Se ne esce dal bar e con un'insolenza allucinante si gira e mi saluta mandandomi un bacio.
Domani cambio bar.
Oppure ci torno.
Con un battipanni!!!

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