domenica 25 dicembre 2016

Cosa insolita

...almeno per me.

I nonni se ne vanno, dopo il pranzo natalizio.
Li accompagno all'auto. Anche perché ho necessita' di aria, di solitudine.
Il pomeriggio e' insolitamente mite, nessuno in giro, silenzio quasi surreale.
Faccio un giro intorno alla casa, nel quartiere.
L'aria e' frizzante, ormai il sole e' capitolato dietro a qualche edificio, la luce resiste, ma per poco ancora.
Incrocio un uomo con il cane al pascolo. Ci scambiamo gli sguardi come se fossimo gli ultimi sopravvissuti dopo un disastro atomico. Poi tiriamo dritto entrambi, richiudendoci nei nostri pensieri.
Il Natale ha sempre un che di malinconico e quello di quest'anno e' stato ancora più faticoso e difficile degli altri.
Continuo a passeggiare.
Incrocio una camionetta dell'esercito che da un po' pattuglia la zona. Va lentissima.
Io sul marciapiede la vedo venirmi incontro. Nel momento in cui ci incrociamo io guardo verso di loro mentre loro ricambiano l'occhiata.
Li incrocio di nuovo al prossimo incrocio.
Si fermano davanti a me per farmi attraversare.
Allora, proprio in quel momento, penso e faccio una cosa insolita, impensabile solo qualche mese fa.
Mi fermo, mi giro, mi avvicino al mezzo militare.
Loro da dentro mi guardano, un po' allarmati, anche se credo che si veda che non sono un personaggio pericoloso.
L'autista ha già il finestrino mezzo abbassato. Io allora comincio a parlare.
- Buongiorno, volevo solo ringraziarvi per la protezione e per il vostro prezioso lavoro. Immagino che come tutti, oggi in particolare, vorreste essere a casa con le vostre famiglie. Tanti auguri e grazie ancora per tutto.
L'autista alza una mano in segno di saluto e riparte buttandomi un 'tanti auguri anche a lei'.
Io mi giro e mi dirigo verso casa.
Oggi ho fatto una cosa che un tempo non avrei mai fatto. Mai.
Sono un po' spaventato di me stesso...anzi molto.


venerdì 23 dicembre 2016

Abilitazione

Leggo questo.
Come provocazione ha un suo senso, visto il vomito ormai che riempie la rete, le bufale, le 'aggressioni', gli spazi riempiti da persone infime e maleodoranti.
Non so bene come si potrebbe fare, ma sicuramente ormai siamo a un punto qualcosa sia necessario fare.

Ma io ho ormai un chiodo fisso, in termini di patentini, abilitazioni e certificazioni di capacità.
È quello delle lezioni. Morto ormai il suffragio universale - visto la sempre più infima partecipazioni alle lezioni, nostrane e in giro per il mondo - forse è meglio concentrarsi su chi ancora insiste ad andare a votare ogni volta, ancora con voglia di incidere.
Ma se a livello numerico il voto vale UNO, indipendentemente da chi lo esercita e dalla scelta, credo che comunque sia sempre più necessaria una sorta di certificazione, di valutazione delle conoscenze e di sensibilità civica dell'elettore.

Se non sai le regole di base di quella che un tempo si chiamava educazione civica, se non sai che l'Italia è una repubblica parlamentare, se non sai che il presidente del consiglio lo nomina il capo dello Stato, se non sai che i ministri li indica il presidente del consiglio, se non sai che le regione hanno competenze specifiche, se non sai che il sindaco è eletto direttamente e ha ruoli territoriali definiti, se non sai che la Chiesa è un altro Stato, se non sai che le persone che ci rappresentano e che decidono per noi le eleggiamo noi, se non sai che le leggi devono essere rispettate e non aggirate, se non sai che le tasse sono da pagare e fine, se non sai che il sistema solare ha come centro il sole e non la terra, se non sai che giusto dare i diritti a tutti indipendentemente da sesso, religione e colore politico, se non sai che abbiamo la costituzione più bella del mondo, se non sai che bisogna avere rispetto delle donne, dei bambini e del mondo intero, se non sai che la violenza è vietata, che rubare è vietato, se non sai...

Ecco un esamino su almeno questi concetti di base sarebbe necessario. Se passi voti. Se non passi, vai a ripetizione, rifai l'esame e poi ritenti.
E, ahimè, ormai non è più tanto una provocazione.

mercoledì 21 dicembre 2016

Merry (horror) Christmas

Si avvicina il Natale.
Giornata fausta, soprattutto per la presenza dei bambini che la rendono una vera e propria festa.
L'attesa dei giorni precedenti, la 'trattativa' sui regali, l'arrivo di babbo Natale (ancora per Bianca, anche se probabilmente sarà l'ultimo anno, anzi ci conto...), il pranzo, i menù...
Tutto bellissimo, anche se il senso di vuoto per chi non c'è più improvvisamente riemerge violento.
Quest'anno Natale a casa mia con i nonni, tradizionale, in cui si aprono gran parte dei regali, per poi trasferirsi a casa di mio fratello il giorno dopo per festeggiare con quello che rimane della mia famiglia. Con i nipoti che si uniscono dalle diverse località in cui vivono.
Belle giornate, serene.
Poi le vacanze, almeno fino all'inizio del nuovo anno, variegate.
E i ricordi vanno a quei Natali in cui c'erano tutti, in cui l'attesa per i regali era tutta nostra, in cui il 'mistero' era ancora vivo.
È solo nostalgia, perché spesso - ancora quando vivevo in famiglia - il Natale era simbolo di tensioni familiari, in cui il nervosismo si respirava con fisica percezione, probabilmente per chissà quale passaggio epocale nel rapporto tra i miei.

Ricordo con chiarezza un Natale in particolare.
Avrò avuto non più di 15anni.
Mio padre che la sera della vigilia ha dato in escandescenze, non ricordo neanche perché, per un motivo futile.
Una serata da incubo, in cui lui - l'ho capito anni dopo per alcune mezze frasi in quei rari momenti di confidenza con lui dopo la morte di mia madre - ha riversato in famiglia tutte le sue frustrazioni, le sue insoddisfazioni, tutti i suoi rancori.
La mattina dopo, il giorno della festa, è stato anche peggio. Un film dell'orrore.
Non ho bei ricordi del Natale. Per nulla.
Spero con i miei figli sia andata, e vada, diversamente.

lunedì 19 dicembre 2016

Canzone

Mi sono svegliato stamattina, all'alba come sempre, con una diavola canzone in testa.
Non so perché proprio quella. Forse causa qualche sogno che non ricordo. Si sa la mente è complessa e ricca di angoli nascosti che non si rivelano mai.
Non la sentivo da tempo immemorabile, non è una canzone che gira con facilità, anche perché chi la canta ormai ha fatto il suo tempo - dopo avere scritto la storia della musica italiana -, non lo si vede più in giro, grazie anche alla sua età avanzata.

È la canzone che Gino Paoli 'lascia' a Ornella Vanoni, la sua compagna al tempo, quando gli è stato diagnosticato un tumore.
Ma è anche un lascito per chi sceglie di abbandonarsi, per chi sceglie di dimenticarsi, per chi comprende che 'si chiude la pagina in comune', per sempre.
Un regalo di uomo alla sua donna, per lasciare un sottile e delicatissimo filo di congiunzione.

Poesia, malinconia e speranza.
Per tutti.

giovedì 15 dicembre 2016

Davanti

- Sai cosa mi è successo l'altro giorno, mi domanda appena lo incrocio.
- Che palle, adesso mi fa una rivelazione, o peggio, mi rivela un segreto, penso io, alle prese con cose ben più importanti.
- Ma cosa ti è successo? Sono proprio curioso di saperlo, gli rispondo falso come Giuda.
- Camminavo per la città. E continuavo a sentire qualcuno che mi chiamava, da dietro. Ogni volta mi giravo, mi voltavo allungando il collo. Avessi potuto, come fanno i cani, avrei anche alzato le orecchie, per meglio capire chi e da dove venivano quei continui richiami.
Io lo guardo, imparpagliato, come direbbe il Maestro Camilleri. E siccome non me ne può fregare di meno, non replico, pregando tutti gli dei dell'olimpo che quell'inutile conversazione tornasse da dove era venuta senza lasciare alcun segno.
E ahimè, visto che non dico nulla, il mio inutile interlocutore si sente autorizzato a continuare.
- Forse ho le allucinazioni ho pensato, continua lo scocciatore. - Allora mi giro e continuo a camminare. Ma i richiami riprendono, insistenti, a volte urlati, a volte sussurrati, a volte quasi impercettibili.
Allora continuo a voltarmi, sempre più spesso, sempre più a lungo, fino a quando succede il patatrac.
- Papatrac? Ma come parli?, penso io, irritato. Mi torna in mente Moretti in Palombella Rossa, che alla sua indignazione per il linguaggio inappropriato di chi intervista il protagonista del film reagisce con una sonora e tombale sberla. Io non posso, anche se non sono mai stato un pacifista, ma questo che scoccia è troppo più grosso di me. Scaccio subito questo bellicoso pensiero.
- E cosa sarà mai successo, dimmi un po'? gli domando velenoso e fintamente amichevole.
- Beh, è chiaro cosa è successo. Sono andato a sbattere contro il muro e il risultato è questo lungo e violaceo taglio che ho qui sulla fronte. E mi alza la sua folta capigliatura per mettermi in mostra la sua gloriosa ferita di guerra.
- O ca..o, che male!, rispondo io decisamente gongolante per la divina punizione. Sto per rispondergli che gli sta bene ma cambio un'altra volta tattica e domando:
- Ma ti sei fatto medicare?
- Sì, al pronto soccorso, ero vicino all'ospedale e per fortuna mi hanno fatto passare subito. Niente punti per fortuna, ma a un certo punto ero un po' preoccupato perché la vista sembrava meno efficace del solito.
- Beh, con quello che c'è da vedere in giro forse può essere un vantaggio, gli rispondo secco, questa volta senza alcuna autocensura.
E continuo.
- Ma allora hai scoperto chi era che ti chiamava?
- No, ma ho capito una cosa chiara e netta.
- Cioè? gli domando questa volta sinceramente incuriosito. - Cosa hai capito?
- Che continuare a voltarsi indietro, anche se ti chiamano in continuazione, è pericoloso. Meglio sempre guardare avanti. E per due validissimi motivi.
- Quali? ridomando, sempre più coinvolto.
- Il primo che se guardi avanti non corri il rischio di sbattere. E il mio taglio sulla fronte ne è la controprova.
- Vabbè, questo è banale. E il secondo? chiedo, aspettandomi una risposta altrettanto inutile.
- Quando continui a voltarti rivedi quello che hai appena visto, il vecchio, il già vissuto, il passato. Guardando avanti hai di fronte il nuovo, quello che non conosci. Vedi tutto quello che non hai ancora conosciuto o scoperto. Di fronte hai la tua vita. Vuoi mettere?
Si gira e se ne va, facendomi ciaociao con la manina.
Io rimango a bocca aperta, voltandomi a guardarlo mentre si allontana.
Mi riprendo subito però.
Immediatamente mi giro, per guardare davanti a me, la mia strada, cancellando con un solo gesto della mano tutto quanto mi sta dietro.


mercoledì 14 dicembre 2016

Dodici

Caro Andrea,
oggi è il tuo compleanno. E fanno dodici.
Stamattina, all'alba, ti sei infilato nel mio letto, contento, agitato, fremente per la giornata.
Io ti ho sussurrato "tanti auguri, amore mio" e tu mi hai abbracciato come mai lo avevi fatto in passato.
Sono stati attimi di fortissima intimità, di un figlio con suo padre, quasi a sigillare un rapporto, inossidabile.
Abbiamo parlato a lungo.
Dei tuoi regali - Non aprirli fino al mio ritorno stasera, eh? - della scuola, dei tuoi amici, delle tue 'donne'.
Mi hai anche detto che "ora che sono in piena pre-adolescenza chissà cosa succede...".
Non succede nulla, figlio mio, o forse cambia tutto.
Ma sta già cambiando, e da tempo.
Ormai sei alto come una pertica, hai cominciato a staccarti da tua sorella. Fino a poco tempo fa eri iperprotettivo nei suoi confronti, le stavi attaccato come una cozza, ora stai lanciandoti verso la tua strada, contrapponendoti spesso a lei.
Ma va bene così, fa parte della crescita, della vita. A un certo punto della vita ti ricongiungerai con lei, ritornerai a essere complice. Ricordati che il rapporto con i propri fratelli o sorelle è quello più duraturo, più lungo. E forse il più bello.

Se il futuro ce lo permette, abbiamo davanti tempo e modo per coltivare questo meraviglioso rapporto, esclusivo, tutto nostro!, fatto di complicità 'tra maschi', amore vero e rispetto reciproco.
Quando avrai figli capirai quanto grande, assoluto possa essere l'amore che un padre prova per un figlio. Fino a quasi far male, fino a sacrificare tutto, anche se stesso.
Stasera ci divertiamo, e molto.
Un bacio infinito.
Papi

martedì 13 dicembre 2016

Avanti

Cara Bianca,
anche quest'anno è arrivato il saggio scolastico natalizio.
Ormai sei arrivata alla quarta, mica paglia, e l'anno prossimo sarà l'ultimo prima del grande balzo verso le medie, dove cambierà tutto. Avanti così.

La maestra Enrica è un vero e proprio fenomeno.
Riesce ogni anno, tra una lacrima di commozione e ringraziamenti sperticati 'ai miei bambini', ad allestire un vero e proprio spettacolo fatto di balli, canzoni, coreografia e felicità. In pochi metri.
E anche quest'anno, come ogni anno, tu ti sei distinta per partecipazione, recitazione e soprattutto entusiasmo.
Hai una capacità di farti coinvolgere che nessun altro dei tuoi compagni ha, hai una voglia di partecipare che riempie tutta la scena, nascondendo di fatto tutti quelli che ti stanno intorno.
Beh, tu dirai, 'è ovvio che la pensi così, sei mio padre e quindi non sei obbiettivo'.
Forse un po', lo riconosco, ma i filmati che ti ho fatto e le fotografie lo testimoniano in modo inequivocabile, senza alcun timore di essere smentito.
Ti muovi, reinterpreti, canti con una marcia in più rispetto ai tuoi compagni, è un fatto.
Hai la gioia nel cuore che tutti possono vedere, quasi toccare.
È ovvio che quando sarai più grande - tra non molto, intendiamoci - dovremo valutare come valorizzare questa tua voglia scenica, questa tua innata necessità di recitare e di ballare.
Io, dal fondo dell'aula dove mi trovavo, ho assistito con la solita commozione ed emozione, ma questo ormai non fa più testo.
Il clou - e sai perché - è stato quando vi siete messi a cantare Merry Christmas di John. Per un attimo ci siamo scambiati, nel bel mezzo della canzone, un'occhiata di intesa, io ti ho sorriso e tu hai dolcemente annuito.
Sei una potenza della natura, sei la donna della mia vita.
Qualsiasi cosa accadrà, qualsiasi strada che la vita ci impone, qualsiasi difficoltà che ci cadrà addosso io ci sarò sempre per te, ricordatelo.
Un bacio enorme.
Papi

lunedì 12 dicembre 2016

Dialogo

Ogni volta il cuore va a mille, la respirazione aumenta a dismisura. Anche le gambe sembrano non reggere la tensione, facendomi sentire insicuro, instabile.
Mi avvicino al cancello, verde ancora per poco, con la ruggine che ormai ha preso il sopravvento e tra poco avrà vinto completamente la sua guerra.
Lo spingo. Come da copione cigola, in modo sinistro, manco fossimo in un film del grande Hitch.
Entro e comincio a percorrere il vialetto centrale.
E' la parte vecchia, quella originale, quella antica.
Le lapidi che riposano ai margini del viale sono ben curate, disposte in modo ordinato. Sono quelle in cui riposano coloro i quali se ne sono andati da più tempo. Lo conferma le date, ma soprattutto i nomi, vecchi, di altre epoche, di altre vite.
Si alternano Dina con Egidio, Onorina con Purissima, Rodolfo con Pierina.  Un salto nel passato.
Arrivo fino in fondo, dove si apre un varco verso la parte nuova del cimitero, fatta di un'entrata ulteriore davanti a una scalinata sontuosa e inutilmente roboante, un cappella orribile e, finalmente, i lucernari riservati anche ai non residenti.
Percorro gli ultimi metri, sbirciando come ogni volta le tombe a terra che sono sdraiate davanti ai lucernari. Sono sempre le stesse, ormai nomi e fotografie diventate compagne di viaggio.
Raggiungo la parete meridionale e prima di alzare gli occhi a quelle tre lapidi vicine tiro come di consueto un lungo sospiro, come se dovessi cominciare un esercizio fisico molto impegnativo.
Finalmente guardo, rileggo i nomi di quelli che erano la mia famiglia, ormai anni fa.
Le montagne intorno creano uno scenario formidabile, di gran conforto, di protezione.
Guardo le foto, i pensieri si arrotolano su se stessi, mischiando tristezza a ricordi, senso di vuoto ad affetto infinito.
Le foto mi guardano, immobili.
Io abbasso gli occhi, intimidito.
Per la prima volta mi ritrovo a parlare con loro, apro una discussione, mi lascio andare a richieste di aiuto, chiedo notizie, informazioni, rivelazioni.
Mi sento stupido. Poi tutto finisce, come se non fosse mai iniziato.
Lancio un ultimo sguardo, di saluto.
Una solitudine assoluta, dolorosa, irrimediabile mi assale.
E le lacrime cominciano a bagnare il mio viso. Ancora una volta.



martedì 6 dicembre 2016

Nervi di Ferro

Se dovessi badare a queste cose, a queste coincidenze, a questi segnali (verso cosa poi?) che ormai si ripetono nell'ultimo periodo in modo costante, beh non ne verrei più fuori.

Incontro una persona amica. Si parla, ci si confronta. 
Prima sul referendum, poi sul lavoro, poi la famiglia, fino a chiacchiere più profonde, intime. 
A un certo punto il mio interlocutore mi dice:
- È una guerra ormai, su tutti i fronti. Niente più tranquillità, niente più attimi di quiete, nessuna tregua. Fuori e dentro se stessi. 
Mi viene voglia di rispondere "eh la madonna", poi mi fermo. 
Mi dicono che sono troppo tranchant, troppo ironico, caustico, irrispettoso, che attraverso le mie parole emano sentenze e giudizi  elevandomi a giudice del mondo intero, allora mi blocco, deglutisco, respiro, conto fino a sessantuno e poi apro finalmente bocca. 
- In che senso?
- Conosci Tiziano Ferro?
Conto fino a trecentosessantuno e faccio anche un'analisi di funzione, derivate e logaritmi, e poi rispondo.
- So chi è, non conosco la sua musica, le sue canzoni. Non è il mio genere, gli ribatto. E nel frattempo mi faccio pat pat sulla schiena, congratulandomi con me stesso, per la risposta gentile, interlocutoria e per nulla offensiva.
- Bene, e comincia a cantare una canzone sconosciuta..."Stringimi adesso, il peggio poi passerà. Ciò che ci lega è amore, nego la tregua, nego la tregua, ora pretendo una guerra, la vita intera, voglio la tua vita intera".
Io la guardo, mi guardo in giro mostrando tutto l'imbarazzo, un po' tanto perplesso. Non capisco. So solo che sta attraversando un momento difficile, che è stata abbandonata dal suo compagno recentemente e naviga a vista nel rutilante mondo moderno.
- Bella, dico io, mentendo spudoratamente. - E cosa mi rappresenta?, chiedo mostrando i primi segni di irritazione.
- Io voglio che lui ritorni, voglio tornare a essere felice, mi urla singhiozzando.
La faccio finita velocemente, non ho voglia di confidenze, di rivelazioni, e soprattutto non ho voglia di consolare. 

Esco, faccio una passeggiata, una persona mi urta, violentemente, senza volerlo.
Io barcollo un po', mi giro e con lo sguardo chiedo conto di quanto è successo.
- Oh mi scusi, mi scusi tanto. Ero distratto. Le ho fatto male?
- No nulla, ma faccia attenzione, rispondo contrariato.
- Ma lei è fatto di ferro!!, mi dice sorridendo. - Meno male, mi scusi ancora, arrivederci.
E con ferro fanno due.

Entro in libreria, finalmente.
Mi aggiro per gli scaffali, alla ricerca di qualche novità. È una delle cose più appaganti della vita scrutare le novità editoriali, farsi incuriosire dalle copertine, leggere le controcopertine, vedere le classifiche.
Nella libreria, che vende anche musica, c'è sempre della musica diffusa.
Uno canta, con una voce un po' strana, a volte urla, modula, gorgheggia.
A un certo punto, in quel punto della grande sala al pianterreno, l'acustica si fa più forte.
E percepisco, anche senza volerlo, le parole con maggiore chiarezza.
"Stringimi adesso, il peggio poi passerà. Ciò che ci lega è amore, nego la tregua, nego la tregua, ora pretendo una guerra, la vita intera, voglio la tua vita intera".
Mi congelo sul posto. Mi dirigo verso le casse e chiedo: 
- Non mi dica che questo è Tiziano Ferro, non me lo dica, per favore.
Quello stranito, consapevole di avere a che fare con il pazzo della giornata, mi guarda e mi risponde, un po' timoroso:
- Sì, è l'ultimo disco, uscito da pochi giorni. C'è qualche problema?
Io lo guardo, di sasso.
E con questo fanno tre.

Segnali, coincidenze, forse suggerimenti.



venerdì 2 dicembre 2016

Softly, as I leave you

L'altra sera, sulla poltrona, mentre leggo, solo a casa.
Un silenzio surreale, una pace quasi stralunata.
Il libro sulle ginocchia, gli occhiali inforcati, alle prese con un libro che parla di vecchiaia, di tempo che passa, di vite che cambiano.
Un libro triste, che ti sbatte in faccia i percorsi, gli anni, gli errori e le gioie.
In sottofondo, come poco spesso mi capita, una musica. Una playlist su Spotify di Frank Sinatra.
Adoro Sinatra. Ha il potere di trasportarti nel passato senza trascinarti nella nostalgia (canaglia).
Crea un'atmosfera di eleganza, di esclusività, di limpidezza che nessun altro è in grado di costruire.
Ti fa sognare, ti fa volare via, ti fa tornare indietro, ti abbraccia, con quella voce limpida, cristallina, senza mai un cedimento.
Una sensazione straordinaria.
Si alternano le pagine triste del libro con le hits più famose del cantante americano.
Poi, a un certo punto, come ci fosse un regista, uno sceneggiatore, un compositore e un tecnico del suono lì intorno a me, le pagine del libro parlano di abbandono, di persone che si amavano e che non si amano più, di braccia che fino a quel momento hanno avvicinato e che ora, improvvisamente, cercano solo di allontanarsi. Raccontano di parole d'amore sussurrate che ora raccontano solo indifferenza e lontananza.
E dall'impianto stereo improvvisamente si scatenano le dolci note di una canzone di Sinatra che non avevo mai sentito. Una canzone che parla di dolce abbandono, forse di un amore finito, di lacrime.
Mi blocco. La canzone è degli inizi '60, lenta, in una sorta di crescente armonia, breve.
La cerco sulla rete.
Scopro che è una cover (una volta tanto) di una canzone italiana cantata da Mina, credo proprio nel 1960.
"Softly as I leave you", questo il titolo. In italiano "Piano".
Chiudo il libro e chiudo gli occhi. Piano piano...


giovedì 1 dicembre 2016

Ciao mondo!

Lavorare su se stesso, ogni giorno che dio manda in terra, è un lavoro.
Faticoso, spesso doloroso, spesso, ma altrettanto sempre più spesso, di grande soddisfazione.
Molto più difficile che lavorare sugli altri, per comprenderli, per aiutarli. Ammesso che uno, poi ci riesca.
Ma il confronto quotidiano con la propria vita, spessissimo notturno, porta a due strade.

La prima è la follia.
Se non si riesce a trovare la strada per uscirne, se il percorso intrapreso è quello del risentimento verso tutto e tutti - e verso se stessi -, se la via scelta è quella di scovare tutti i modi per riottenere soddisfazione nei momenti di difficoltà, si ottiene solo un piacere momentaneo. Per poi ricominciare, fino a perdere il timone della propria vita.
È il modo migliore per aggiungere solo dolore, forse agli altri, ma soprattutto a se stessi.
Se la parola follia è troppo forte, sicuramente la meta è quella di unire instabilità a instabilità, fino a perdere completamente equilibrio, controllo, solidità psicologica e capacità di stare al mondo.
C'è già in giro troppa fragilità, troppa difficoltà per aggiungere anche la mia.

La seconda è quella del voler bene e fare del bene. Quella che, da sempre, ho cercato - tra i mille errori - di fare sempre.
Io mi conosco, molto bene e, se mi si passa l'auto incensamento, sono una brava persona.
Ho perso per un po' di tempo la capacità di giudizio, ho perso la mia volontà di vivere nel rispetto del prossimo, talvolta di me stesso.

Invece fare del bene, se così si può dire, è un motore sensazionale per aggiungere piacevolezza alla vita, già straordinaria e immersa nell'amore in particolare per i miei figli.
Intendiamoci, non sono un buon samaritano, non sono uno votato alla missione, non sono uno che si immola per trovare l'armonia tra le particelle impazzite del mondo.
Ma non sono in grado, questo ne sono certo, di fare del male in modo consapevole, non sono capace di provocare dolore solo per il gusto di farlo, magari per qualche insensato desiderio di vendetta o rivalsa.

Oggi ho fatto del bene, per esempio. In modo disinteressato, solo per spirito di 'fratellanza', solo perché pensavo che avrebbe aiutato.
È stato bellissimo e mi sento un altro. Era tempo.
Fare del bene permette a qualcun'altro, che lo riceve, di farne a sua volta dell'altro per un'altra persona ancora, creando un effetto domino. Se poi non capita pazienza. La mia coscienza è a posto.
Fare del bene fa circolare il bene. Se il fisico mi regge...
Sono più leggero e questo, almeno alla mia povera schiena sempre più incriccata, porta grande sollievo.

Una piccola aggiunta, dall'oroscopo che mi girano tutte le settimane, che conferma (giuro, l'ho letto dopo!), quanto detto sopra.

"Secondo l’astrologia tradizionale, voi Scorpioni non siete inclini all’ottimismo. Venite spesso dipinti come esperti di misteriosi enigmi, foschi intrighi e profondi interrogativi. Ma il pittore francese Claude Monet, uno degli Scorpioni più creativi e di maggior successo del ventesimo secolo, non corrispondeva del tutto a questa descrizione. Era famoso per i suoi incantevoli e sensuali paesaggi. “Ogni giorno scopro cose ancora più belle”, diceva. “Mi inebriano, vorrei dipingerle tutte. Mi scoppia la testa”. Nelle prossime settimane Monet sarà il tuo santo patrono. Sarai capace di vedere le cose con la sua prospettiva come non ti capitava da molto tempo."

Il vento, il cappello, l'uomo

Dove: una grande piazza centrale della città. Quando: una mattina invernale, all'alba, con sole appena nato, cielo terso e vento gelido,...