giovedì 29 settembre 2016

My way

Viaggio a Roma.
A parte un incontro, insperato, estremamente affascinante e che sicuramente avrà una sua evoluzione, a metà pomeriggio, in attesa di incontrare mio fratello almeno per un saluto, mi ritrovo a passeggiare per via del Corso. 
Roma è ormai invivibile, è un caos a cielo aperto, ma rimane - se sei capace di guardare 'oltre' - uno dei luoghi della terra più seducenti e affascinanti di questo maledetto mondo.
Mi infilo nelle vie piccole che circondano il mondo della politica.
Il ponentino si è alzato, il sole sta cominciando a sdraiarsi, il cielo fino a poco fa azzurro intenso comincia a colorarsi di giallo, arancio, rosso. Una sensazione - nonostante il casino diffuso e reiterato che mi circonda - di pace comincia a risalire lungo la schiena. Sembra di tornare indietro nel tempo.
Arrivo in una piazzetta, con dei portici.
Un suono in lontananza, vicino a dei tavolini di un bar, pieno di turisti, di gente.
Un uomo, anziano e un po' dimesso imbraccia un violino. Si dimena, si agita per accompagnare il suono delle corde solleticate dall'architetto. Non sembra recitare, è realmente catturato dall'armonia che riesce a sprigionare.
Io tiro dritto, quasi lamentando un'intrusione, o meglio un'interruzione del relax raggiunto. Ma è solo un attimo, mi blocco immediatamente. Il violinista di strada sta suonando My way di Frank Sinatra. 
Una canzone straordinaria, che resiste nonostante l'assenza della voce formidabile del cantante americano.
Mi fermo a sentire. Poi lo lascio.
Ritorno sulla via del corso, risalendolo. Sfilo di fronte a quegli orribili negozietti che affollano la parte più alta della strada. Ragazzi in libera uscita, anziani a braccetto, carrozzelle, promoter che cercano di rifilare l'ennesimo volantino, poliziotti in assetto di guerra...
Poi in lontananza il suono di un sax. Man mano che mi avvicino le note cominciano a distinguersi. Vedo il suonatore. È un uomo gigantesco, con una pancia che potrebbe essere sequestrata come arma impropria, seduto su una di quelle sedie anni '60 fatte di 'corde' di plastica semi elastiche.
Grazie a quei polmoni, pur essendo seduto, il suono è potente, forte, deciso. 
Sta suonando My Way...
Ascolto per un po' anche questa versione, sorridendo sotto i baffi, per la strana coincidenza. 
E subito malignamente penso anche 'ovvio, è pieno di turisti americani, il business è business'. E tiro dritto.
Arrivo finalemente in piazza del popolo. Casino assoluto, tra poco inizierà una manifestazione sindacale. 
La attraverso velocemente, non ho voglia di nulla.
Salgo un po' per raggiungere una posizione elevata e vedere la piazza dall'alto, da Villa Borghese. È uno dei posti più belli del mondo. 
Arrivo alla balconata, guardò giù, faccio una foto, respiro il vento dolce che si infila tra i capelli. Tutto è sublime, quasi onirico.
Mi volto verso la villa. A pochi passi un ragazzo seduto per terra, fuma una sigaretta e impugna una chitarra. E comincia improvvisamente a suonarla. E a cantare.
My way...
Mi fermo ad ascoltare anche quella versione, un po' ritmata e accelerata rispetto alle altre due. Ha voce potente il ragazzo, un'ottima pronuncia, forse non è italiano.
Lo ascolto fino alla fine. Gli butto qualche moneta nella custodia distesa ai suoi piedi ad hoc per le offerte.
Ma non mi trattengo nel domandargli:
- Ma qui a Roma suonate tutti la stessa canzone?
Lui mi guarda, mi sorride, scuote la testa dolcemente. È bellissimo, quasi biondo, fisico atletico, e una dolcezza nel viso quasi femminea. Penso con invidia che farebbe, e farà, girare la testa a metà delle ragazze romane.
Alza gli occhi dalla chitarra e mi sussurra:
- Solo oggi. Solo qui. È perché vogliamo tutti ricordarti la tua nuova 'strada', l'arrivo della tua nuova vita.
Io rimango a bocca aperta. 
Lui se ne va agitando una mano in segno di saluto.
Io scendo, il fratello ormai aspetta. 
Una nuova vita...

lunedì 26 settembre 2016

Vi vorrei dire che...

Cari figli miei,
non è un periodo facile.
Ci sono momenti nella vita in cui tutto diventa estremamente complicato, tutto difficile, tutto non va verso il senso giusto.
Voi crescete, giocate, studiate, annegati nella vostra meravigliosa età, con problemi primari che facilmente si risolvono con un sorriso. La vita adulta è purtroppo, o per fortuna, un po' diversa, meno lineare, aldilà delle complessità evidenti.
In questo periodo, lo so non solo lo sento, non sono più lo stesso, e non riesco a darvi quello che vorrei.
La mia testa è sempre altrove, lontana da voi, miserevolmente assorta in qualcosa che è lontana da voi anni luce.
Gli anni passano, maledizione, e non si hanno più le stesse risorse di un tempo.
Quando si è giovani si ha una risorsa assoluta, davanti, che sistema tutto, che ti permette, perlomeno, di sperare: il tempo.
Ora questo tempo, questo elemento essenziale nella vita di ognuno, si è ridimensionato, in modo esponenziale. Non riesco più a vedere davanti a me prospettive, possibilità di recupero, spazi all'interno dei quali mi possa muovere per trovare, nei limiti, soluzioni e prospettive.
Ci ho provato, altroché. Ma non è servito a nulla, sono arrivato fuori tempo massimo e sono dovuto rientrare con perdite e feriti. E la colpa è solo mia, di nessun altro.

L'altro giorno, di ritorno dalla montagna, Andrea eri seduto dietro di me e mi hai abbracciato improvvisamente e mi hai parlato, involontariamente acido nel tuo candore di dodicenne:
- Papi, l'anno prossimo fai i sessanta e diventi vecchio. Ma non ti preoccupare io ti vorrò bene lo stesso.
Ecco, improvvisamente, nel bel mezzo della superstrada che costeggia il lago di Lecco, mi hai buttato in faccia tutta la realtà, tutta la terribile verità che comunque ben conosco.

Non è una questione di età. O almeno non solo. A sessanta oggi si è ancora nel pieno della vita.
È Il tempo che passa che è terribile non solo perché ti cambia e ti limita il presente, ma anche perché ti accorcia il futuro. E questa cosa proprio non la digerisco, caro figlio mio.
Quindi?
Non so. Ogni giorno ho sempre più la tendenza a limitare i progetti, la volontà di cambiare, i desideri da realizzare. I sogni quelli ormai credo di averli accantonati, ma almeno i progetti per realizzare qualcosa non li voglio limitare.
Ma ci vuole forza e in questo momento, perdonatemi cari figli miei, ne ho poca, pochissima.

Io vi amo più della mia vita. Ma non sono un buon padre in questo momento. Proprio per niente.
Che sia presente o che non ci sia.
Perdonatemi, se potete.
Papà

venerdì 23 settembre 2016

Ofelè fa el to mestè

Ormai la cosiddetta 'politica' non mi appassiona più, aldilà dei consolidati ideali che moriranno con me.
E quindi evito come la peste tg, talk show televisivi, confronti e chiacchiere in libertà che l'ex tubo catodico ci vomita addosso tutti i giorni.
Ieri no, forse perché mi voglio male, forse perché non avevo meglio da fare, forse perché volevo, dopo tutto, toccare ancora di più il fondo. Il masochismo è una sorta di test psicologico autoprodotto che permette a ognuno di vedere fino a quali bassezze riusciamo a raggiungere...

Bene, quindi, allora...ieri sera mi sono imbattuto nella trasmissione della Gruber su La7, con ospiti due pezzi da novanta: il nostro presidente del consiglio in tutta la sua spocchia e il premiopulitzerdenoantri Travaglio.
Ognuno ha le proprie convinzioni, non solo ideologiche, ma anche in merito all'azione di governo, alle cosiddette riforme approvate o in via approvazione, alle leggi entrate in vigore. Ognuno è una parola forte, visto che nel paese ormai morto dentro e con al bava alla bocca contro tutti e contro tutto credo che pochi siano realmente informati su cosa realmente ci passa il convento. Ma tant'è.
Quindi la discussione che ieri sera si è inanellata in un crescendo di chiassate e di interruzioni - quindi capendo poco, proprio poco di quello che soprattutto Renzi cercava di dire - è pindaricamente volata tra referendum, jobs act, kasta, 5Stelle, Pd e forse qualcos'altro che mi sono perso.
Non entro nel merito delle opinioni, faccio solo una considerazione di ruoli e di metodo.

Ieri sera il 'duello' (sigh...) era tra due persone: un politico e un giornalista.
Quindi, almeno nel mio mondo che a questo punto sta scomparendo ne sono certo, ci dovevano essere domande e risposte, al limite un contraddittorio tra chi si occupa di  raccontare i fatti e che fa il suo mestiere di controllo e un capo del governo che deve 'vendere' il suo operato ed eventualmente difenderlo dalle critiche.
Invece ieri si è svolto, aldilà della rissa continua ormai insopportabile, un litigio perenne tra un politico di parte (Renzi) e un altro politico di parte (Travaglio) che ha solo sparato a zero contro l'attuale governo senza portare un elemento, sciorinando cifre senza verifica, interrompendo in continuazione, irritando forse il Renzi (e chissenefrega) ma soprattutto non facendo capire un bel nulla al povero occasionale spettatore che dopo questa esperienza bordeline, è sicuro, rientrerà nei suoi ranghi e tornerà a leggere i suoi libri nel silenzio della notte.
Ormai si è perso non solo l'educazione per ascoltare l'altro, non solo la capacità di avere rispetto per i propri interlocutori, non solo non si riesce più a essere d'accordo su nulla, ma credo che purtroppo si è persa la consapevolezza di ciò che si è e di cosa si fa.
Ieri sembrava di vedere un dibattito tra Renzi e Berlusconi, o Grillo o chiunque altro politico contrapposto allo schieramento di governo attuale.
Un'esperienza allucinante.

Per fortuna in casa mia la tv ha un solo piccolo spazio tra migliaia di libri.
È stato un attimo, ho girato gli occhi, con una mano ho raggiunto il telecomando, ho spento l'odiato scatolotto ormai appiattito da cui uscivano ancora le urla dei due guerrieri e contemporaneamente, i miei occhi, hanno cominciato ad accarezzare le coste dei libri nelle librerie fino a scegliere la nuova sfida letteraria dei prossimi giorni.
Ecco... "L'intenso gioco della luna", di Gioconda Belli, scrittrice nicaraguense che ci racconta in modo formidabile l'ennesima meravigliosa storia di una donna, alle prese con il suo uomo non più all'altezza ( e chi lo è ormai?), l'incontro di un altro amore, le gioie e i dolori... e poi vedremo, non sono neanche a metà.

E tanti saluti a tutti.

giovedì 22 settembre 2016

L'autunno più amaro

A un certo punto il vento si placa, il clima si fa più dolce, le prime sfacciate gemme spuntano sugli alberi e i piccoli passeri ricominciano il loro gioco con il vento.
Poi il sole si fa più intenso, i prati verdi assetati reclamano acqua e gli alberi rigogliosi si riempiono i polmoni del calore e della lunghe giornate di luce.
Poi improvvisamente, come tutti gli anni, un uomo dolce e saggio appare all'orizzonte e con eleganza ma con fermezza, impugna il pennello e comincia, con tratti decisi, a colorare tutto con tonalità calde e sfumate.
L'armonia dell'Autunno ricolora il paesaggio, sfuma di marrone le foglie, ingiallisce i prati, accorcia le giornate, convince il sole a prendersi finalmente qualche vacanza, richiama, con ordini perentori e un po' bruschi le nuvole nascoste a bighellonare dall'altra parte del pianeta, fino a farle tornare e a darsi da fare con il loro carico d'acqua. Anche la luce comincia, in attesa di spegnersi totalmente nel buio invernale, a regalarsi qualche pausa.
Tutto si tinge di languida malinconia, tutto si sfuma, la natura si prepara al lungo sonno dell'inverno, quel signore con la barba bianca che comincia a spingere, alle spalle, per farsi largo.
E allora, di fronte a un prato ricoperto di foglie morte, sotto una pioggia sottile e insistente, davanti agli stormi di rondini che senza alcun rimorso si allontanano all'orizzonte, risale quella dirompente consapevolezza che ogni cosa inizia e finisce, che la natura, la vita, le stagioni e gli amori hanno il loro corso, stabilito e incontrollabile.
E un uomo, ormai non più nei suoi anni migliori, può solo arrendersi, sedersi e ricordare, e aspettare che l'inverno con il suo manto bianco lo ricopra, cullandolo dolcemente, per rendere più dolce il suo sonno finale.
Aspettando la nuova primavera...



venerdì 16 settembre 2016

La banalita' della felicita'

Ricomincia il lavoro, ricominciano le buone abitudini.
Quindi mi ritrovo per qualche giorno solo con i due ragazzi, ormai tornati a scuola.
Io devo riprendere le consuetudini, quegli automatismi che per ora mancano. Infatti Andrea, al primo giorno di gestione solitaria se ne va a scuola senza le due merende (inizia alle 8,00 e finisce alla due, sono necessarie...) e io me ne rendo conto correndo a casa come un disperato, alle 7,50, per recuperare Bianca rimasta sola in casa per quei 15 minuti che mi paiono un tempo infinito.
Il senso di colpa e' assoluto. Per questo banale contrattempo, in quei minuti sotto un'acqua torrenziale senza ombrello, riesco con una facilita' quasi infantile, a mettere in discussione tutta la mia vita, il mio ruolo di padre e tutte le scelte fatte a partire dal giorno in cui ho pronunciato la mia prima parola.
Sconcertante come la mente sia in grado di stravolgere la realta' e il suo contrario con una rapidita' e, diciamolo, una crudelta' infinite.
Rientro in casa, porto Bianca - ricordando la sua di merenda -, ritorno in casa e dopo vado al lavoro.
La sera a casa, in attesa che i due si spengano definitivamente per la notte lasciandomi finalmente solo con me stesso, scanalo svogliatamente la tv, con l'occhio che vede ma non registra nulla.
La mente vaga, gli occhi vitrei, il dito schiaccia sul telecomando come se ricevesse degli impulsi elettrici dall'esterno.
Poi casco su un canale sportivo, e vedo due in carrozzella che si preparano a combattersi. E' Rio.
E' un istante, le due agitano le braccia, e in pochi secondi una delle due (lo capisco dopo che che e' uno scontro femminile) si agita, gioisce all'infinito, piange. Ha vinto l'oro. E' un'italiana.
Mi accorgo che e' senza gambe, che ha combattuto con una protesi e quindi ha solo alcune parti delle braccia. E' una giovane ragazza, dai capelli corti, dai lineamenti dolci.
E' felice come non mai e nella sua gioia un po' convulsa e senza fine mostra tutta la bellezza di avercela fatta, di aver realizzato il suo obbiettivo, aldila' della  retorica che la sua condizione disabile genera.
Scoppio in lacrime, improvvisamente. Di vera felicita', non di commiserazione. Vedere realizzare il sogno di una donna, chissa' a che prezzo di sacrifici e rinunce, e' un'emozione che non riesco a controllare.

Mi rimetto in sesto.
Vado dai ragazzi, ormai lavati e pigiamati e infilati nei loro letti con il libro d'ordinanza pre-sonno.
Li guardo, sani e belli, con tutta la vita davanti, spero, ricca di felicita' e serenita'.
E allora tutto si resetta, tutto si allinea.
Non sono una cattivo padre, no, anche se dimentico la merenda a volte.
Ci sono e sono presente. Faccio tutto quello che posso e riesco. Mi impegno. Con i miei limiti.
Mi occupo di loro, li amo.
Ormai la mia vita e' solo per loro.
Si', sacrificando tutto.

mercoledì 14 settembre 2016

Un timer a mia insaputa

Io, a differenza di quel signore a cui avevano intestato una casa con vista Colosseo a sua insaputa, mi accontento di qualcosa di più banale.
A mia insaputa qualcuno mi ha inserito (sottopelle? nel sangue? tra i muscoli delle braccia?), credo durante l'ultima settimana d'agosto, un timer che mi costringe - almeno fino a quando lo trovo e lo estirpo - a svegliarmi tutte le notti, indipendentemente dall'ora in cui prendo sonno, tra le 3 e le 3,30.
Il timer è molto preciso ed estremamente efficiente. Quando va bene riesco a riprendere sonno intorno alle sei, a volte non ci riesco proprio.

Molte delle 'sveglie' notturne avvengono con regolarità terrificante alle 3,29, così dice il mio orologio sul comodino che, come tutte le sveglie, è consultabile al buio grazie a una lucetta interna.
Molte anche alle 3,12. Le altre in quell'arco di mezz'ora che citavo prima.
Mi sveglio in un mare di sudore - il caldo di questo settembre di certo non aiuta - con una sensazione di angoscia e di abbandono che mai ho vissuto prima.
Mi rotolo nel letto con la consapevolezza che ormai il mondo mi stia strapazzando, in cui terribili entità esterne (forse aliene o qualche dio bizzoso) stiano chiedendomi il conto di tutto quello che ho fatto, di tutti i miei errori, di tutte le mie colpe.
Sono momenti terribili, in cui ho la certezza piena e assoluta che non vedrò l'alba e che comunque nulla potrà avere una soluzione.
Alla fine, per ogni volta, prendo la decisione di alzarmi, raggiungere sempre più pesantemente il divano, cercare di leggere o scrivere, comunque di tenere in piedi una funzione cerebrale positiva e attiva.
Ma ormai, ogni notte, la cosa diventa sempre più complicata e l'angoscia si impadronisce anche con una luce accesa o con buona musica nelle orecchie. Fisicamente mi manca il fiato, lo stomaco viene assalito da terribili fitte e la testa tenta di scoppiare. Ma la cosa più terribile, più ingestibile, più sconvolgente è la sensazione di solitudine assoluta, mai provata prima. Non è bello, porca vacca!

L'aspetto positivo è che riesco a parlarne almeno con me stesso, o comunque a scriverne, aiutandomi a ricostruire il rispetto verso di me e dando segnali di reazione. E con un a buona dose di saracasmo, elemento fondamentale nella mia esistenza e non da tutti apprezzato.
Perché l'importante è appunto saper reagire, di fronte a tutto e a tutti. Sempre.
E riprendere, il prima possibile, a spaccare le montagne a mani nude, come ho sempre fatto, facendo attenzione a non lasciare feriti sul campo.
Stanotte, a un certo punto, disperato, ho fatto una impensabile ricerca su Google con la parola 'notte', non so perché e con quale obiettivo. E tra il tanto ciarpame che ho fatto scorrere sotto il mouse mi sono imbattuto in questa meravigliosa canzone, di cui ancora conservo il 45giri con la copertina pasticciata da mio fratello, noto grafomane negli anni '60.
Ascoltatela, perché è straordinaria e straziante. E anche se è una canzone 'solo' d'amore (come il 99% delle canzoni dell'epoca - siamo nel 1965) racconta tutta l'angoscia di notti dedicate alla ricerca di un po' di serenità.

Vediamo cosa succede, diceva quello là, a questo punto sono molto curioso.
Se mi ricoverano in una clinica per turbe psichiche spero di riuscire a ottenere un computer per poter tenere aggiornati i migliaia di fan che seguono questo cesso di blog.
In caso contrario il caro oblio calerà sulla rete e chi si è visto si è visto.


venerdì 9 settembre 2016

Difficile, maledettamente difficile!

Ahhhh, aiuto!
Il libro ora è in giro in più mani.
Da una parte l'editor che mi sta aiutando e che mi ha fatto appunti, dato consigli, chiesto variazioni, che da buono scolaretto ho fatto - anche se sempre un po' discolo sono, e quindi un paio di cose non me la sono sentita di farle, non mi sembravano appropriate. Una signora che non smetterò mai di ringraziare, anche se il tutto non avrà sbocchi positivi.
Dall'altra il copioso romanzo che rivoluzionerà la letteratura italiana - ma che dico, europea o forse mondiale - è giunto anche tra altre mani, mani di chi conosce e può avere un interesse.
Insomma tutto è ancora in alto mare, ma come diceva Abatantuono in Mediterraneo -  a proposito del caffè turco - bisogna sapere aspettare, bisogna attendere, senza fretta, così il gusto è migliore e il fondo si può depositare senza cascarti inopinatamente tra le labbra.
Io due cose non so fare, oltre a non saper cucinare, fare l'astronauta e parlare l'aramaico: chiedere e aspettare.
Per questa maledetta impresa di pubblicare un maledetto libro che hanno scritte le mie maledette mani, io devo prima di tutto chiedere - che qualcuno mi presenti qualcuno, che questo qualcuno legga il mio manoscritto, che se è buono me lo pubblichino pure -, e contemporaneamente devo sapere aspettare - risposte, pareri, suggerimenti, verdetti.

È una prova difficilissima, che mi trascina vorticosamente tra le braccia delle loro maestà, il nervosismo e l'irritazione.
Vivo sulle spine, già in un periodo pessimo, dove tutto è difficile e triste.
E dove la creatività per il mio prossimo progetto narrativo (bellissimo!) tende ogni giorno a scemare fino alla quasi totale scomparsa.



mercoledì 7 settembre 2016

Cinque anni, alle 16,15 di oggi

Cinque anni, tondi tondi, senza alcuna sbavatura.
Cinque anni fa, proprio intorno a quest'ora, mio padre finalmente ha pensato che fosse giunto il momento di smettere di intestardirsi e di lasciare tutto e tutti per il suo meritato riposo.
Oramai era più di un mese che aveva perso conoscenza, che si torturava fisicamente, che ogni giorno diventava una vera e propria condanna.
In questi giorni di solitudine con tutti lontani nella città ormai a pieno regime, i ricordi si rincorrono e si presentano con innaturale lucidità, come se qualcuno volesse mettere alla prova la mia capacità di ricordare.
Quindi si fanno largo nella mente, in modo strano, alcune immagini nitide, delle vere e proprie fotografie di alcuni momenti chiave di quei due mesi di pura sofferenza, non solo sua.

Appena ricoverato in ospedale, la sera stessa, dopo la caduta, in cui chiedeva notizie di mia madre, ormai volata via dieci anni prima.
Oppure, dopo l'operazione, in completo stato di trance, che cercava di combattere 'quei guerrieri a cavallo che cercano di assalirmi, proprio lì, sul soffitto.
Oppure ancora quando mi guardava, in quelle visite pomeridiane che mi parevano interminabili, e mi chiedeva se ero mio fratello e, quando gli rispondevo che no, ero l'altro suo figlio, mi guardava con un sorriso di sufficienza dicendomi in pratica che ero solo un impostore, 'perché Paolo è morto da tempo'.
E poi gli ultimi giorni, ormai senza alcuna più presenza nel mondo reale, con gli occhi chiusi, legato al letto perché sennò si procurava ferite e staccava tutte le macchine a cui era appeso, dove cercava dimenandosi di avere un po' di libertà e di pace. E allora io, ogni santo giorno che lo andavo a trovare mi chinavo su di lui, con le lacrime agli occhi e gli sussurravo disperato 'lasciati andare, molla tutto, smettila di lottare...vola via!'.

Un uomo difficile, incazzoso, aggressivo come non mai, che non ci ha fatto mancare mai nulla tranne che il suo affetto, rarissimo sentimento che ha centellinato per oltre novant'anni.
Ma oggi mi manca. Non tanto perché sarebbe stato d'aiuto per le mie tristezze di oggi, ma solo perché mi avrebbe detto con la sua superficialità infinita 'che bisogna andare avanti senza tante storie'.
Una volta ci 'pensava lui', per tutto.
Come vorrei tornare indietro e sentirmi - anche per un solo attimo - libero di non dover prendere decisioni.
Solo cinque minuti...

lunedì 5 settembre 2016

Buonanotte

Sì, in genere si dice quando si va a letto.
L'altra sera, di ritorno da un sabato ai confini della realtà per clima e per una tristezza dura da sopportare, finalmente a casa, tardo pomeriggio.
Cena rapida e frugale, un film da vedere tutti insieme (Sopravvissuto, di Ridley Scott, bellissimo), un po' di manfrina tra qualche scambio di tennis (o meglio di randellate) da New York e un documentario sull'Alaska, finalmente viene il momento in cui inizia la diaspora verso i rispettivi letti.
Io volevo rimanere alzato per scrivere un po' nonostante le difficoltà di questo periodo.
Andrea mi schiocca un bacio sulla guancia accompagnato da un 'ti voglio bene' che parla solo.
La Rossa invece si avvicina, mi abbraccia da dietro e mi lancia a tradimento:
- Buonanotte vecchia carcassa arrugginita.
Io ci rido sopra, torno al tavolo per ributtarmi sul computer e tra le mie fatiche letterarie.
Scrivo una riga, ne comincio un'altra e improvvisamente mi rendo conto di quanto tempo è passato, di quanti capelli grigi ormai riempiono la mia folta (quella c'è ancora) capigliatura, di quante ferite e di quante fatiche. E di non avere stampelle.
Ho rivisto davanti a me, in pochi secondi, la mia vita, come se fossi in uno stato di trance, proprio come la raccontano quelli che hanno avvicinato la morte ma che sono riusciti per miracolo a tornare indietro.
Ho sentito tutta la fatica, tutto il peso, tutta la seduzione per cedere e a lasciarsi andare.
Brutta cosa, bruttissima, mai vissuta.
Mi sono alzato, ho messo la testa sotto l'acqua fredda del rubinetto, quasi dovessi smaltire in pochi attimi una sbronza corposa e violenta.
È servito a poco. E ho cercato di dormirci sopra, con scarsissimo successo.
Il giorno dopo, la domenica, imponeva decoro e presenza per impegni sociali non rinviabili.
Uno straccio.
E infatti mia figlia, impietosa, si avvicina e mi sussurra, durissima, 'hai delle occhiaie che fanno paura, nere, profonde'.

Difficile, molto difficile, convivere con il tempo che passa, in solitudine con se stessi.

Il vento, il cappello, l'uomo

Dove: una grande piazza centrale della città. Quando: una mattina invernale, all'alba, con sole appena nato, cielo terso e vento gelido,...