sabato 28 gennaio 2012

Memoria

Verrà il giorno,
Verrà quel giorno in cui dovrò spiegare, raccontare, far capire che cosa è stata la Shoa ai miei figli.
Verrà prima o poi quel momento in cui la mia coscienza, spero, mi darà la forza di spiegare come l'uomo possa, aldilà delle ideologie e dei più biechi interessi, raggiungere un livello di crudeltà e di scientifica follia come quelli raggiunti ormai più di sessant'anni fa.
Verrà quel momento.
E io spero, allora, di poter affrontare il mio compito di educatore e di conservatore della memoria, in modo adeguato, libero da condizionamenti ideologici.
Libero da tutto.
Per poter far capire che tutto ciò non è stato frutto di una follia collettiva.
Per poter far comprendere che non è stata un'allucinazione improvvisa.
Ma per poter far capire che tutto ciò può accadere, ancora oggi.
E che bisogna vigilare, non tanto sugli altri, ma soprattutto su noi stessi.
Se dio esiste, che ci protegga.

venerdì 27 gennaio 2012

Che noia

Ci sono momenti in cui vorrei essere nella Papuasia dell'est, oppure semplicemente su un altro pianeta.
A volte la voglia di tapparsi le orecchie, ormai - facendo anche lalalalalalala con la bocca - è sempre più forte.
Il problema non è più il rumore di fondo, che disturba, ma che si combatte bene o male, chiudendo la porta.
Oggi le urla sono sempre più alte, forti, predominanti; la pochezza, la volgarità, la ignobile ignoranza la fanno da padrone.
E non mi riferisco solamente alla prima pagina di quella roba lì pubblicata tutti i giorni a Milano. Quella è ormai vera e propria feccia, schifezza allo stato puro. La coscienza degli uomini, almeno di alcuni, sembra ormai essere inghiottita da un gorgo di violenza e di stomachevole volgarità.
Io non riesco più a vedere un telegiornale, a leggere con attenzione i giornali, a consultare i siti di informazione.
Non riesco più a vedere un programma televisivo se non è un vecchio film; a vedere Santoro, Ballarò, Gad Lerner.
Sembra che la mia mente, forse avvizzita e avviata verso una sicura involuzione cognitiva, si rifiuti di allinearsi al mondo odierno.
Io sono preoccupato per il mondo, ma soprattutto per me stesso.
Forse il mio destino è un posto in tribuna numerata a San Siro...

domenica 22 gennaio 2012

Che traffico!

E non parlo dell'Area C, sempre più tranquilla e con l'aria sempre meno impestata.
Le notizie di questi giorni ci dicono che il traffico si è ridotto del 37 per cento.
Mica male, veramente mica male.

Comunque io parlavo di un altro 'traffico'.
Un traffico di uomini e donne, tra le braccia dei miei figli.
Prima Bianca che si sposa - cosa che è regolarmente avvenuta con tanto di cerimonia e vestito all'altezza -, ormai al suo secondo matrimonio, con probabilmente un cuore infranto che si aggira sconsolato tra le nebbie della metropoli.

Andrea è invece un po' più riservato. Si sa poco.
Ma si sa, più non vuoi sapere più sai.
Preparando la cartella, in questa sera di domenica, si guarda, si cerca di mettere ordine in un casino pazzesco.
E in mezzo ai libri, tra una pagina di italiano e una di matematica, semioccultato, salta fuori una vera e propria lettera d'amore.
Una prova di passione vera, di grande semplicità ma di grandi orizzonti.
In tre righe c'è tutto.
Un ammissione di debolezza; la prova del coraggio; una richiesta chiara e precisa; e poi una promessa nel tempo.
Fantastico.
E poi c'è quell' 'esposto' che mi rende orgoglioso per la ricercata raffinatezza di linguaggio di mio figlio, e che contraddistingue i veri grandi scrittori.
Il testo, integrale, è quello che riporto qui sotto colorato.
Il foglio era un A4 piegato, con il testo all'interno forse cancellato, con una copertina tempestata di cuori rossi.

L. ti amo, non ho mai avuto il coraggio di dirtelo e ora mi sono esposto a dirtelo. 
Ti supplico vuoi essere la mia fidanzata?
Da grandi diventeremo due ottimi sposi.
Andrea

La lettera, probabilmente non è stata ancora consegnata, e forse non lo sarà mai.
Ma è un primo passo verso un nuovo mondo.

venerdì 20 gennaio 2012

Area C piace

Area C...
Io abito in periferia.
In quella zona ricca di contrasti e di opposti, molto verde, ben servita, con tante scuole, non particolarmente trafficata. Tranne in quei giorni, quei maledetti giorni - ormai tutti tranne il lunedì, forse per favorire la lobby dei parrucchieri - in cui ventidue miliardari in mutande trogloditi, si esibiscono su un prato verde per la gioia degli appassionati.
C'è a chi piace e a chi meno.
L'area C dicevamo. La zona all'interno della cerchia dei Navigli (le mura medievali), il centro classico di Milano, dove oggi chi vive guadagna bene e anche di più, dove l'attenzione delle passate amministrazioni comunali è stata quasi esclusiva, dove i più si lavorano per scappare, dove si fa shopping, dove da tempo si paga per entrare se sei di periferia.
Insomma il nostro Pisapia ha equilibrato le cose.
Paga chi viene da fuori e paga chi ci sta dentro.
E, credetemi, io che ci lavoro, il centro da una settimana è una vera e propria meraviglia.
Strade vuote, gente in quantità che cammina sui marciapiedi, rumore contenuto e aria che sembra, e sottolineo sembra, più accettabile.
Io non so cosa porterà. So solo che per ora l'impatto è buono, la gente sembra accettarlo - aldilà di qualcuno più arrabbiato, a torto o a ragione - e la città, almeno in queste zone, è diventata più 'umana.
Fa specie aggirarsi per le strade del centro con questa aria vuota, un po' surreale. Vedere molte persone attraversare senza problemi, sentire le auto avvicinarsi perché spesso 'uniche', sentire rumori una volta soffocati dal traffico.
Vediamo se i risultati in termini ambientali saranno confermati dopo i primi dati ottimistici che circolano sulla stampa. Intanto le casse un po' si sistemano, alla faccia del buco che la signora ci ha lasciato.
E mi spingo ancora più in là.
Io imporrei divieti e pagamenti a tutta la città, se si vuole usare l'auto.
Questo è l'unico modo per fare una vera e propria rivoluzione non solo ambientale, ma soprattutto culturale e sociale.
E, forse, per dare un futuro migliore ai nostri figli.
Per inciso, sia Bianca che Andrea stanno ormai manifestando allergie e irritazioni respiratorie che non promettono nulla di buono...

mercoledì 18 gennaio 2012

Aprire gli occhi

Il problema vero di noi tutti è uno solo.
Soldi? No.
Felicità? No.
Onestà? No.
Invidia? No.
E allora, cos'è, perdindirindina...
Il problema vero vero è che il mondo a cui siamo abituati,
il mondo mondo che ci ha fatto crescere, bene o male,
quel mondo che nasceva dopo la guerra mondiale, infarcito di Hollywood, Cinecittà e derby Milaninter,
quel mondo fatto di lavoro, vacanze, weekend, gelato sullo struscio del paese, shopping, canottiera e mutande sul divano, figli che giocano al pallone in strada,
insomma quel mondo che ha segnato un'epoca,
quel mondo lì,
non c'è più.

Oggi siamo nella precarietà,
oggi siamo nella continua ansia di vivere,
oggi abbiamo sempre meno prospettive,
oggi non abbiamo più sicurezze,
c'è qualcuno che ci dice pure che le ideologie sono morte quando ha vinto l'ideologia delle ideologie,
oggi anche i capitani delle navi non sono più eroi...

Insomma prima ci rendiamo conto che il mondo, la nostra vita, sono cambiati profondamente - e che dobbiamo smetterla con le nostre pretese di restaurazione - prima ricominciamo a vivere e a progettare.

Oggi è necessario prendere visione che siamo al centro di uno di quei vortici che rivoluzionano il mondo intero e che verrà studiato nei libri di storia tra qualche generazione.
E prendendo visione, ci rimbocchiamo le maniche per ricominciare a costruire un pianeta a più basso tasso di sviluppo, a più basso inquinamento, a più basso consumo, a più bassa comodità, a più basso senso di onnipotenza.
Nessuno si spaventi, tra quei quattro gatti che leggono queste righe.
Non ho intenzione né di fare ricorso alle religioni orientali, né di inventarmi predicatore de' noantri, né di scendere, o meglio crollare, in politica.
Sono solo pensieri in libertà che si sciolgono quando leggo le notizie. Tassisti che metteranno 'tutto a ferro e fuoco'. Oppure le sciurette milanesi del centro che si indignano perché non possono più usare l'auto come prima.
Oppure... i più si lamentano e non guardano in faccia alla realtà.

Un'epoca è finita e noi dobbiamo prepararci velocemente a vivere pienamente quella nuova.
Grande caos sotto il sole, la situazione è eccellente!

martedì 17 gennaio 2012

Un mare di bruttezze

Un popolo di santi, poeti e navigatori...
E mica tanto, ormai.


Santi pochini. Quelli nominati nel nostro tempo (eletti?, sanciti?, promossi?, come si dice...) hanno dalla loro lo svantaggio evidente di aver vissuto la vita nel presente, e quindi senza quell'alone fantastico ed eroico del santo 'del passato'. Insomma i iracoli roboanti li puoi raccontare senza pericolo solo dopo duecento anni, non prima. Rischi che qualcuno testimoni contro...
E poi nell'Italia di oggi c'è molto più spazio, anche mediatico, per cialtroni, disgraziati e furbacchioni.

Poeti? Mmmmh, anche quelli sempre di meno. Categoria maledetta quella dei poeti, da sempre un po' brutti, sporchi e anche un po' cattivi. Oggi l'immagine del poeta italiano è quello che non sbarca il lunario, magari assistito dalla legge Bacchelli che gli procura un sostegno almeno per mangiare.

E poi vengono i navigatori. Dalle notizie che ci giungono dal Giglio, questa è una categoria in estinzione. Non tanto per l'imperizia, per l'errore - anche causato da una sbruffoneria inaccettabile -, ma soprattutto per la codardia, per l'imperdonabile egoismo dimostrato - almeno sembra - dal sommo comandante.
- Il capitano è l'ultimo ad abbandonare la nave!
Questa è l'immagine epica che soprattutto i romanzi dell'ottocento ci hanno raccontato, anche grazie ai disegni drammatici che spesso quei romanzi accompagnavano.
Io sono della generazione 'venuta su' con Moby Dick, Salgari e Sandokan.
Quei libri, almeno nelle versioni per ragazzi (ne ho ancora qualcuno nella libreria!) erano ricchi di disegni che contestualizzavano il racconto e davano spazio alla fantasia visiva con immagini drammatiche e talvolta di una violenza inaudita.
E il capitano, nei naufragi in mezzo ai flutti impazziti degli oceani, era l'ultimo a prua che affondava insieme alla nave con la sua capigliatura al vento, di fianco all'albero maestro spezzato e vele a brandelli.
Quello che leggiamo in questi giorni è tutt'altro che epico, e direi anche poco edificante.
Un capitano vittima della sua paura che abbandona la nave ancora da evacuare, cerca di scappare con la scatola nera per non lasciare tracce, finge telefonate dalla nave quando è invece in salvo, e soprattutto, scappando, non si occupa di organizzare e salvare gli altri.

No, né santi, né poeti, né navigatori.
Forse oggi siamo diventati un popolo di tassisti, di farmacisti e di benzinai, che inneggiano al libero mercato ma non vogliono perdere le loro economia 'protetta' e i loro privilegi.
Forse oggi siamo un popolo di veline, puttanieri ed evasori.
Forse oggi siamo un popolo di banchieri che fanno di tutto tranne che il loro mestiere.
Forse oggi, e questa è la verità vera, non siamo più niente.

venerdì 13 gennaio 2012

Vuoi tu Bianca...

Stanotte, che notte!!
Bianca prima si sveglia per un brutto sogno con conseguente agitazione.
Poi prende forse sonno, oppure no, e si agita tra divano, il suo letto e il nostro.
Poi il clou, il vero colpo di scena della nottata.
Alle 5,30, preannunciato da un suono di piedi nudi che sbatacchiano violentemente sul pavimento, piomba in camera dei genitori e urlando ci annuncia:
- Ma lo sapete che oggi mi sposo con FR?
Ecco come è cominciata la giornata.
Vista la scarsa propensione a cadere tra le braccia di Morfeo nelle ore giuste, la mattina la principessa, all'ora di alzarsi, ha avuto qualche difficoltà a entrare in circolo.
Quindi, a differenza di ogni mattina, Andrea se ne andato a scuola con sua madre e io ho avuto l'onore, esistendo un'entrata a scuola posticipata, di accompagnare la signorina dai capelli rossi al suo dovere quotidiano.
Stranamente di buon umore, tra l'altro.

- Allora, oggi ti sposi?, le domando mano nella mano nel breve tragitto fino alla sua scuola materna.
- Certo, mi risponde.
- E quindi cosa succede?
- Non lo so, mi risponde ridendo sotto i baffi.
Mah, chissà come reagirò quando succederà davvero...

Arriviamo a scuola e mi ritrovo davanti un bambino che le ruota intorno e ride e scherza.
Io le domando se è lui la vittima sacrificale e lei, sciantosa e abbassando gli occhi, mi risponde di sì.
Entriamo. Arriviamo agli armadietti per cambiare scarpe e depositare giacconi e maglioni.
Si avvicina il principe consorte, con relativa regina madre.
Allora mi sembra corretto presentarsi, visto che dobbiamo diventare parenti.
- Ciao, io sono il padre di Bianca. Lo sai che oggi i due pargoli si sposano?
- Oggi? Io sapevo che lo erano già da tempo.
Immediatamente mi domando perché nessuno mi tiene mai al corrente delle cose. Ma poi passo oltre.

Dopo aver cambiato le scarpe alla signorina tumistuffi, la accompagno all'aula di pertinenza.
Appena entro l'educatrice mi riceve con grande entusiasmo, ammiccando.
Io, che non avevo in programma un'avventura clandestina con la signora, abbozzo e faccio finta di niente. Ma poi capisco che l'occhiolino era rivolto, virtualmente, all'unione prossima dei due pretendenti.
- C'è aria di matrimonio, mi butta in faccia.
- Ah, lo sa anche lei?, azzardo una domanda.
- Certo, oggi i due ragazzi di sposano. Un applauso ai due promessiiiii!!!!, e giù tutti ad applaudire.
- Mi manca solo la musica e poi abbiamo tutto, conclude.
Io penso subito che non ho soldi per ricevimenti e per dote varie, e cerco di sdrammatizzare la situazione.
Ma lei insiste.
- Oggi si sposano e facciamo una grande festa.
Io mi ricordo che a scuola si veniva per imparare, ma forse i tempi sono cambiati. E siccome non voglio fare il vecchio relitto, sorrido e faccio finta di apprezzare.
E poi mi volto, guardo Bianca, vicina al suo FR.
E mi domando: ma l'anno scorso non si era già sposata con uno che si chiamava Lorenzo?
Si vede che fa parte del programma...
Buon sangue non mente, comunque concludo.
Me ne sono andato, non so se sollevato o preoccupato.

giovedì 12 gennaio 2012

Facciamo un gioco

La vita è fatta di mancanze. Fisiche.
Mancano le persone a cui tieni, mancano quegli uomini che hanno fatto la storia della tua vita, mancano le donne che hanno segnato il tuo quotidiano, passato e presente.
Mancano, nel senso che non ci sono più.
Allontanati per sempre, inavvicinabili, svaniti.
Affetti, amori, amicizie; e complicità, ore vissute insieme, trasgressioni, solidarietà...
Molto di tutto questo non esiste più.
Fa parte della vita, voi direte.
È il corso naturale delle cose, mi ricorderete.
C'è chi arriva, chi se ne va. C'è chi si avvicina e chi si allontana.
Ma a volte, questo 'corso naturale', è più difficile da digerire.
E alla mia età dovrei essere più saggio.

lunedì 9 gennaio 2012

Il passato non torna più

Oggi e domani sono giorni tosti, tostissimi.
Una banda di termiti umane smantellano, svuotano e smontano tutta la casa di mio padre, che poi era la casa della nostra infanzia fino a quando, mio fratello e io, ce ne siamo andati facendoci la nostra vita.
Da due ore questi straordinari annientatori del passato altrui vanno e vengono nell'appartamento facendo a pezzi un tempo che non tornerà più.
La scrivania dove studiavo, il letto dove i miei hanno dormito per oltre cinquant'anni, uno specchio dove tutti i giorni si controllava gli improbabili vestiti degli anni '70.
È come se un trattore da ventimila tonnellate mi stesse passando sopra.
Solo.
Mentre il mondo, là fuori, va avanti - o indietro -, senza accorgersene.

domenica 8 gennaio 2012

Mano nella mano

Il bello della paternità, tra l'altro, è la costante imprevedibilità.
Ogni giorno, ogni settimana ti capitano cose che non non riesci lontanamente a comprendere.
Da qualche tempo Andrea è in totale venerazione verso suo padre.
Mi cerca, mi parla, mi domanda, di abbraccia, mi sollecita, mi chiede, vuole giocare con me, vuole confrontarsi, vuole vivere con me.
La sensazione è bellissima, ancorché spiazzante.
Crescere con i propri figli è bellissimo, perché ogni giorno ti si aprono nuove sfide, nuovi obbiettivi.
Il clou di questo processo di avvicinamento, ha visto l'altra sera un momento importante.
Dopo un accerchiamento durato qualche giorno, finalmente ha preso coraggio e mi ha chiesto:
- Papone (da un po' mi chiamano così, sempre meglio dell'inflanzionato Papi...), stasera dormiamo insieme?
E dormiamo insieme.
Lui era agitatissimo, manco dovessimo partire per la Papuasia.
A letto alle 9,30, o quasi.
E una volta a letto tutto è scattato.
Complicità, risate di gusto, prese in giro reciproche, richieste inconsulte, pettegolezzi su madre e sorella, chiacchiere in libertà su Guerre Stellari, su Jedi, sulla forza e su Luke Skywalker (la passione del momento).
E poi discorsi di 'filosofia', temi religiosi, la montagna, lo sci...
Una serata che ci ha avvicinati ancora di più.
A un certo punto - erano quasi le undici! - intimo con paterna autorità che è ora di dormire.
Io cerco di leggere qualcosa visto che il sonno è lontano da venire.
- Papà, se tu leggi io con quella luce non riesco a dormire, mi suggerisce con un sorriso ironico che fa trasparire quanto poco crede in quello che dice.
Appoggia la testa sul cuscino fissandomi.
E allora io, proprio come facevo quando era piccolo, gli passo una mano sul viso, gli copro gli occhi per pochi secondi, e lui, proprio come allora, crolla in una sonno istantaneo, profondo.
E allora lo guardo, bello come il sole, con quel sorriso stampato sulla faccia, mentre viaggia con la mente nel suo sogno, spero, di felicità.
Spengo la luce, felice.

giovedì 5 gennaio 2012

Là fuori è una giungla!

A volte ripenso a una serie di documentari - così si chiamavano - sulle vite degli animali cosiddetti selvaggi.
Ricordo un rinoceronte affondato nel fango da cui non riusciva più a uscire, picchiando per la rabbia ripetutamente la testa e il relativo corno contro il terreno.
Ricordo la caccia agli elefanti, con questi 'buana' con casco coloniale di ordinanza che sparavano impunemente e il gigante si accasciava sul posto come una casa in demolizione.
Ricordo anche un rinoceronte che caricava la jeep dove l'operatore era appollaiato per riprendere la vita della savana.
Ricordo le scene agresti dei gorilla, dolci e 'familiari', per tramutarsi, un attimo dopo, in terribili macchine da guerra sia nella lotta nel branco, sia nei confronti dell'uomo, intruso e come sempre indiscreto.
Quando ero piccolo questi documentari erano molto ricorrenti, o forse era una delle poche cose che c'erano in Tv, aldilà del mortale Vangelo Vivo, trasmissione religiosa che veniva propinata ai più piccoli in modo truffaldino e onestamente inadeguato.
Recentemente mi è capitato, scanalando in quella bolgia che è il digitale terrestre, di incontrare una di queste trasmissioni a sfondo naturalistico.
Naturalmente è tutto cambiato. Sembra anche tutto un po' finto, ricostruito, forse pure digitale, quindi pure falso. Le immagini sono troppo ravvicinate, troppo dettagliate per essere vere. Una leonessa con i cuccioli ripresa a pochi centimetri, minimo minimo, scappa, se non ti salta addosso per farsi un brunch a costo zero.
Mi dicono che la tecnologia permette anche questo...
Comunque il servizio che ho visto raccontava la vita di un branco di leoni.
Di leonesse in verità.
La caccia, i cuccioli, la loro crescita e formazione sul campo, la notte, i temporali, l'ozio...
Per poi lasciare spazio al re della foresta, sua maestà il leone.
Un re, nella sua regalità un po' decaduta, nullafacente, pelandrone e pure un po' antipatico.
Ogni tanto arriva, si piglia la più carina del gruppo, la impalma in pochi secondi - alla faccia della condivisione del piacere e del rispetto della sessualità della femmina -, le morde un po' la schiena perché un po' di sado-maso va sempre bene, mangia il pezzo migliore della faticosa caccia che ha fatto qualcun'altro, e poi se ne va, e dove non si sa.
Fin qui tutto normale, almeno in apparenza.
Ma la cosa che mi ha veramente impressionato, è quello che accade, talvolta, a quanto pare senza alcun motivo - schiere di studiosi del mondo animale a quanto pare si interrogano sul fenomeno da anni senza darsi risposte sensate -: il re arriva lemme lemme, si avvicina al branco, tira qualche sgagnone e qualche unghiata alle leonesse intorno, il selvaggio Conte Ugolino in men che non si dica fa strage della cucciolata.
Avete capito bene, li ammazza tutti, i piccoli.
Le leonesse osservano agitate e furibonde ma non intervengono, per poi, a mattanza completata, annusare e presumibilmente compiangere i poveri cuccioli che tanto faticosamente avevano allevato e cresciuto fino a quel giorno.
Il monarca, completata l'opera, se ne va da dove è venuto, quindi non si sa da dove.
Ecco.
Come padre sono sconvolto da tanta ferocia e da tanta, sembra, inutile crudeltà. Sembra che capiti anche ai delfini.
Non faccio facili e banali trasposizioni con il mondo umano.
Vengono comunque i brividi...

martedì 3 gennaio 2012

Lassù sulle montagne...

Già dal corridoio, uscito dall'ascensore, il cuore cominciava a battere.
Sempre più forte.
Arrivato alla porta dell'appartamento ormai lo sentiva in gola, facendogli aumentare la respirazione.
Gli bastava aprire la porta, fare qualche passo nell'ingresso di fronte al grande salotto con il camino, per cominciare ad avvertire qual disagio che cresceva a ogni visita.
Prima il grande tavolo, e li vedeva tutti seduti intorno a discutere, mangiare, beccarsi, ridere.
Allora girava di scatto il viso per cancellare l'immagine.
Poi la finestra sul balcone, dove spesso la madre si sedeva controluce o a leggere o semplicemente ad ascoltare.
E poi la camera da letto, dove il padre spesso si ritirava su un tavolino a sbocconcellare le sue parole crociate, circondato da dizionari, atlanti ed enciclopedie.
E poi la piccola stanza con la zia che trafficava e parlava da sola.
E poi sul divano davanti alla Tv con un volume al limite della denuncia, sul balcone in attesa che qualcuno dei loro figli venisse a trovarli, davanti ai fornelli mentre si cucinava un risotto...
Si sentiva sempre più accerchiato da visioni e voci che gli riempivano gli occhi di lacrime.
E allora prese una decisione, come solo lui sapeva fare. Una decisione una, senza tentennamenti.
Decise di convivere con il suo dolore, con le sue malinconie, con i suoi ricordi.
E di lasciarsi trasportare.

Il vento, il cappello, l'uomo

Dove: una grande piazza centrale della città. Quando: una mattina invernale, all'alba, con sole appena nato, cielo terso e vento gelido,...