lunedì 29 agosto 2011

Eppure il vento soffia ancora

Scrivere è da sempre per me - senza alcun obbiettivo 'professionale' - un modo per parlare con me stesso, uno strumento per dirsi cose che non si ha il coraggio di pensare. È un esercizio intellettuale che mi permette di costruire, ragionare, analizzare, ricordare, denunciare...
Il blog ha poi quella punta (punta, nulla di più...) di pubblico, che dà un po' di pepe a quanto si scrive, impone qualche regola, e soprattutto aiuta, sprona, incita a non mollare.
Questo è un momento della mia vita in cui scrivere potrebbe essere un formidabile aiuto a vincere tristezza e sofferenza. Potrebbe essere un modo per dare libero sfogo ai sentimenti.
E invece, al contrario, non ne ho voglia.
Ogni pensiero, ogni attimo della giornata, ogni istante del pensiero sono monopolizzati dalla visione quotidiana, dalle visite del mattino e della sera, a mio padre, sdraiato ormai sul suo letto, in costante affanno d'aria, con la maschere, tubi e flebo che cercano scoppiettanti di tenerlo in vita nonostante tutto.
Non voglio ripetere la solita, ormai stantia, tiritera sulla dignità di vivere, sulla possibilità di avere una degna morte e di non vegetare inutilmente tra piaghe, dolori e imposizioni.
Mio padre non vive più da tempo, anche se il suo corpo, forte come una roccia, si rifiuta di mollare il colpo per dedicarsi ad altro.
Io sono ormai sfibrato, da questa attesa spasmodica, di un destino ormai ineluttabile, che condiziona tutto e tutti.
Io lo ricordo duro, incazzoso, ironico e amante dei monti e del cercare funghi.
Ma oggi, nella visita quotidiana di mezza giornata, mi ha fissato, implorante, quasi piangente, e sibilando mi ha sussurrato 'sono stufo'; e io mi sono sentito inutile, spettatore passivo di una storia finita.
Spero di risparmiare tutto ciò ai miei figli.
Nessun figlio se lo merita.

mercoledì 24 agosto 2011

Occhi vuoti

Gli eventi hanno imposto poche, pochissime vacanze.
La famiglia è giustamente al mare, e io li ho raggiunti, solo per una settimana.
Poi subito di ritorno per riprendere il lavoro da una parte, ma soprattutto l'assistenza continuata e reiterata del Grande Vecchio, ora passato in una struttura geriatrica di riabilitazione.
Ma papà ormai non c'è più. Il suo sguardo è sempre più vuoto e la sua mente sempre più sfasata con la realtà.
Sembra riconoscere, questo sì, ma il suo cervello ha la parvenza di un sistema elettrico in perenne cortocircuito, dove le varie parti viaggiano in maniera autonoma, senza alcuna connessione.
Un giorno mi dice che sono morto (!), un altro che non mi devo sposare, un altro ancora che c'è una banda di veneziane che lo tampinano, e un altro ancora che 'la mamma è venuta a trovarmi'.
Ma soprattuto, il suo carattere orribile che lo ha contraddistinto per una vita, lo fa diventare aggressivo, non disponibile e continuamente riottoso all'assistenza.
È devastante, non solo dal punto di vista affettivo ed emotivo, assistere alla disgregazione puntuale e costante di un corpo e delle sue potenzialità intellettuali.
Semplicemente si sfiorisce, ci si accascia fisicamente su se stessi, si rimpicciolisce...
E poi lo sguardo, maledizione!, quello sguardo vuoto, che a volte ti vede, e a volte - sempre più spesso - ti trapassa, come una spada nel cuore, fissando qualcosa che è oltre.
È un continuo muovere le mani alla ricerca di qualcosa che non c'è. Sembra quasi che abbia perso la prospettiva, la capacità di vedere in profondità. Le sue dita provano in continuazione a prendere qualcosa che non c'è, a toccare qualcosa che non esiste.
Oggi, forse in un momento di rara presenza - io ero inginocchiato davanti alla sua sedia a rotelle dove ormai permane - ha allungato le sue braccia e mi ha semi-abbracciato stringendomi le spalle, in un segno di 'forza, coraggio!', come volesse incitarmi a non mollare, aggiungendo uno straziante 'il mio bambino sta crescendo...'. Chissà cosa voleva dirmi, o dirsi, o dire al mondo intero.
Andiamo avanti così, con un padre ormai straziato dai suoi anni, con un fisico in perenne precarietà, e con una mente ormai abbandonata alle onde della fantasia e, spero, dei ricordi.
Come se vivere così fosse vivere.

mercoledì 10 agosto 2011

Ehi, sono qui!

Quel che sarà sarà...oggi non ho voglia di tristezze.

Milano si svuota, intanto, lentamente, e decisamente non come negli anni passati.
Ieri sera con amici, sono stato fuori a cena, zona Tortona/Salone del mobile per intenderci.
In quel ristorante che mi ha già visto più volte ospite, spero gradito.
Il locale è ospitato dentro un vecchio capannone industriale, con mattoni a vista classicamente rossi. Accogliente, se si arriva prima si riesce anche a mangiare nel vasto cortile/giardino davanti. Non so come la pensano le zanzare, ma l'impatto visivo è splendido.
Comunque.
Il locale ieri sera era ostentatamente pieno. Gente che si abbuffava, senza ritegno, guardandosi intorno come se cercasse approvazione alla faccia delle crisi e del crollo delle borse, delle valigie e di qualche beauty.
L'età viaggiava tra i quaranta e i settanta. I veri giovani giustamente in questo periodo sono in cerca di avventure in giro per il mondo.
Molte coppie, moltissime. Molte abbronzatissime, probabilmente al ritorno delle vacanze oppure di passaggio tra una località e l'altra.
Mi ha colpito, 'sociologicamente' parlando, l'atteggiamento in particolare delle coppie giovani (rispetto a quelle dai 60 in su), cioè quelle che ruotano tra i 35 e i 45.
Gli uomini un po' dimessi, imbolsiti, immalinconiti. Tutti griffati, o quasi, si siedono, ordinano, mangiano, quasi sempre in silenzio, rabbuiati.
Le donne invece, come spesso accade, sono smaglianti, vive, belle nella loro freschezza abbronzata, attente.
E in punta costante, con un arroganza e una aggressività straordinarie.
E ti ritrovi a cena, la sera, con gli occhi puntati addosso, con ripetuti ammiccamenti di queste donne oltranziste che si agitano di fronte a loro uomini senza alcuna prudenza.
Serata imbarazzante.
O forse sono andato in un luogo per appuntamenti senza saperlo?
Vallo a capire.
Il mondo è sempre più curioso.
E io faccio sempre più fatica ad abituarmi.

lunedì 8 agosto 2011

Uno sguardo perso nel vuoto

L'occhio vitreo, lo sguardo perso nel nulla, il borbottio incomprensibile interrotto solo da smorfie di dolore vero, quello fisico.
E poi la rabbia negli occhi, la voglia di alzarsi nonostante tutto, le continue allucinazioni, la ricerca con le mani di cose che esistono solo nella sua mente, il dare ordini comunque, anche in queste condizioni.
E poi tubi, tubicini, sacchettini, pulsanti, termometri.
E infermieri - simpatici e antipatici - dottori, assistenti, pazienti, parenti, finestre sul nulla, cellulari che suonano, risate scomposte da altre stanze, visi disperati, visi distesi, pavimenti lucidi, cartelli scritti a mano con un pennarello scarico (ma non avete le stampanti, porca miseria?)...
Domani l'operazione. Finalmente. O di qua o di là.
O si passa o non si passa.
Ho firmato tutte le autorizzazioni possibili, tutte gli scarica barile per i medici, in modo da assolverli in lungo e in largo da ogni - possibile - conseguenza. E come dar loro torto...
Ormai lui non si muove, parla a fatica, e quando lo fa farnetica di cose assurde oppure di un passato lontano.
È come se vivesse in un mondo tutto suo, di fantasia, con continue immagini dettate dalla realtà.
Mi parla di alberi da frutta, di mele, addirittura di un fico a portata di mano.
E poi di soldi, dei suoi calzoni, di 50milioni (di lire, spero) e poi mi chiede notizie di sua moglie, di mia madre.
E poi... e poi non resisto e me ne vado.
Ci si prosciuga.
Ci si avvilisce.
Domandandosi, cercando di capire, cercando di darsi risposte...
E poi quella sensazione di impotenza da una parte - non sono in grado di fare nulla! - e di indignazione dall'altra, per dover assistere alla fine di un uomo in modo così ostentatamente orribile.
Il nostro mondo si base su un'ipocrisia di fondo, che non prevede dignità, rispetto e onestà intellettuale.
A spese, soprattutto, di chi non può prendere alcuna decisione su se stesso.
E se ci sarà un giudizio, dopo, saremo tutti condannati.

giovedì 4 agosto 2011

E ritorna il sereno

Questa estate strana, svirgola,
questa estate 'fate tre passi indietro con tanti auguri'
questa estate con il rododendro,
ci obbliga tutti ad avere la barra al centro

La mente vacilla
la mente è stanca
il corpo vola
ma non si immola

Quello dice
che si può assorbire
tutto quello che succede
e anche quello che eccede

Ma se qualcosa servisse
qualcosa aiutasse
venderei per trenta denari
felicità e serenità e tutti gli onorari

lunedì 1 agosto 2011

L'albero spezzato

Prima o poi doveva succedere.
Testa dura com'è, prima o poi un guaio doveva capitare.
E io a dirgli, continuamente:
- Papà, non ce la fai più a stare da solo. Prendiamo qualcuno che almeno nelle ora del giorno stia con te e ti aiuti.
E lui, con la cattiveria tagliente che l'ha sempre distinto:
- Vorrà dire che mi risposo, oppure vengo a casa tua! Io non voglio nessuno in casa mia, ci urlava in faccia, con cattiveria, determinato fino alla morte.
Pensa un po' a te, 91 anni...

Giovedì scorso, in riunione in ufficio, suona il cellulare. È il custode della casa di mio padre.
- Corra subito qui, suo padre è caduto sul balcone. 
Io mi stravolgo, in moto, verso casa. Davanti a me si para un mezzo dei pompieri a tutta sirena.
Arriva a casa del babbo testa dura, entra nel cortile, innalza la scala e scarica due pompieri sul balcone.
Aprono la porta e me lo trovo davanti agli occhi, sdraiato, addosso al vetro, spaurito, occhi sbarrati, sofferente.
Ora è in ospedale, femore rotto, operazione programmata per fine settimana, ormai totalmente assente, in crisi respiratoria, ossigeno, flebo, e la certezza che non tornerà mai più come prima.
Ora si accaniranno su di lui, analisi, lastre, iniezioni, operazioni: tutti con la consapevolezza che non serva a nulla, che non riprenderà mai più il controllo di sè, che non avrà mai più la mente lucida per riconoscermi - come ha già fatto stamattina, maledizione!! - e che non tornerà ma più a pronunciare il mio nome.
L'assistenza è ottima, il personale tanto spiccio quanto gentile, ma io ho la sensazione nettissima che quando un paziente è così anziano e ormai mal messo ci sia una sorta di accordo silenzioso per fare in modo che la natura faccia il suo corso.
Tutto rallenta, tutto non si svolge, tutto diventa spasmodico.

Io spero che il tutto si concluda velocemente.
Dopotutto, mio padre, l'ha sempre detto:
- Quando dovrò morire spero che avvenga in un minuto, come tua madre. 
Aveva vissuto sulla sua pelle la sfibrante scomparsa del padre, spentosi troppo lentamente nel tempo.

E meno male che tutto è capitato prima di partire per le ferie. 

Anche un malato, un vecchio ha la sua dignità. 
La deve conservare, anche nella malattia, senza che nulla e nessuno posso soffocarla.
Paese di merda...

Il vento, il cappello, l'uomo

Dove: una grande piazza centrale della città. Quando: una mattina invernale, all'alba, con sole appena nato, cielo terso e vento gelido,...