Così li chiama un mio caro amico quei 'giornaletti' (così si chiamavano i fumetti quando ero piccolo) che ancora oggi compra, soprattutto, mi dice, come funzione di corroborante nelle lunghe sedute meditative nel luogo più ameno della casa.
Bevicervello. Cioè storie da leggere scarsamente impegnative, con difficoltà di comprensione uguale a zero, racconti banali il più della volte di guerra o amore; quelli, per chi se li ricorda, che riempivano L'Intrepido, quel pout pourry editoriale di personaggi e storie intervallate da pagine di pubblicità che reclamizzavano gli occhiali a infrarossi per guardare sotto le vesti delle ragazze, la crema sensazionale che faceva crescere i peli sul petto oppure gli apparecchi ginnici che ti facevano diventare un vero macho in poche settimane.
Bene, per me il vero bevicervello è il Medico in famiglia.
Una fiction in cui la banalità, mista a buoni sentimenti e a tradimenti velenosi, e l'ovvietà la fanno da padroni, rendendo tutto così oniricamente insulso che alla fine della puntata ne esci solo con un lungo sonno, come se avessi passato la serata in una fumeria cinese di oppio.
E' un'accozzaglia di finti personaggi, di nonni invadenti, di padri che vanno e vengono, e odiosetti nipoti che si agitano tutto il giorno senza mai una preoccupazione reale: danaro, salute, politica....
Mai un monolocale dello IACP (o come si chiama adesso), mai una Panda scassata come auto, mai un luogo di lavoro sgangherato, mai una donna/uomo brutti. E tutti sembrano far finta di lavorare.
Un perfetto bevicervello, non c'è che dire.
E poi il protagonista cinquantenne che si 'spazzola' la giovane dottoressa lascia molte, molte speranze...
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